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Questo articolo è stato pubblicato il 03 novembre 2010 alle ore 19:55.
Monsignor Sako ha paura. Teme che il suo Iraq si sgretoli. Che i voraci vicini si spartiscano le spoglie e i gruppi estremisti legati ad al-Qaeda intensifichino la loro crociata contro i cristiani. Preferisce non dilungarsi sull'ultimo comunicato di al-Qaeda, diffuso ieri, in cui i cristiani sono definiti «obiettivi legittimi».
Il suo primo pensiero va alla strage avvenuta lo scorso 31 ottobre nella cattedrale di Nostra signora del Perpetuo soccorso, a Baghdad. Quando un commando armato ha sterminato i fedeli. «58 morti e 67 feriti - ci spiega al telefono - È stata un'operazione preparata a tavolino. Con un obiettivo chiaro: uccidere il più alto numero di persone. I cristiani si sentono indifesi. Non hanno più fiducia nel Governo. Sono già passati otto mesi dalle elezioni e ancora non c'è un primo ministro. Questo vuoto governativo facilita le operazioni degli estremisti. C'è paura per l'avvenire. Regna il disordine, nessuno controlla la situazione. Può accadere di tutto».
Sako, 61 anni, arcivescovo caldeo di Kirkuk, la terza città irachena, è conosciuto come un uomo pacato, prudente per inclinazione. Molti iracheni lo considerano la vera autorità cristiana del Paese. Eppure questa volta il suo tono è concitato. Quasi temesse che il paese possa sprofondare di nuovo negli anni bui, quando tra il 2005 e il 2006 l'Iraq era straziato dalle violenze interconfessionali e quasi ogni mattina sulle acque del fiume Tigri affioravano decine di corpi brutalmente giustiziati. Quando la fuga dei cristiani si trasformò in un grande esodo.
Una pausa al telefono, seguita da un commento amaro: «Ho paura. Ho la fede che mi fa sperare, ma occorre imparare dalla storia ed essere realisti. Tocca alla chiesa universale alzare la voce, una voce alta. Tocca alla comunità internazionale aiutare questi cristiani disarmati e senza protezione. Il Governo di Baghdad ha inviato polizia e soldati per proteggere le chiese. Ma questi terroristi sono organizzati e più forti. La gente teme che possano rafforzarsi ulteriormente. Se così fosse, non ci sarebbe più posto qui per i cristiani».
Le cose sono davvero cambiate negli ultime anni. Tante cose sono cambiate. Sako tornai tempi di Saddam Hussein. Quando, dopo tre anni di studi a Roma, tornò nel suo Iraq. Era il 1983. Tre anni prima il dittatore Saddam aveva dichiarato guerra all'Iran dell'ayatollah Ruhollah Khomeini Il giovane religioso non si fece impressionare quando si trovò faccia a faccia con Saddam: «Gli chiesi di esentarmi dal servizio militare. Ero un prete e avevo un dottorato, volevo servire la mia comunità. Saddam aveva annullato l'esenzione prevista per i preti. Tutti dovevano andare in guerra. Nessuno escluso. Mi disse due sole parole: benvenuto e preghi per me. Era un uomo turbato, con uno sguardo feroce. Allora sono tornato a Parigi, ho studiato tre anni alla Sorbona, e sono rientrato a Baghdad». La guerra finì nel 1988: un milione di morti. Nessuno vinse, persero tutti.