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La Birmania al voto dopo 20 anni: ancora nessun risultato. Obama: elezioni tutt'altro che libere

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 novembre 2010 alle ore 15:52.

Dalla Birmania ancora nessun risultato per le elezioni farsa

In dieci ore, dalle 6 alle 16 (ora locale) di domenica 7 novembre, si sono svolte le seconde elezioni nazionali birmane. Le precedenti risalgono al 1990. Aveva vinto la National League for Democracy (NLD) fondata da Aung San Suu Kyi. Sembrava conclusa una dittatura militare iniziata nel 1962. Breve illusione: le elezioni furono annullate dallo SLORC (State Law and Order Restoration Council), la giunta militare. Da allora la giunta, su consiglio di un'agenzia pubblicitaria americana, ha cambiato nome in SPDC (State Peace and Development Council), considerato meno minaccioso.

Aung San Suu Kyi ha trascorso circa quindici anni agli arresti protetta solo dal Nobel per la pace ed è divenuta un'icona planetaria. La Birmania ha materializzato i peggiori incubi di una dittatura orwelliana e le sue carceri si sono affollate di oltre 2000 prigionieri politici. Uno degli ultimi si chiama Bon Min Yu Ko, ha 22 anni ed è stato condannato a 104 anni per aver manifestato contro il regime. Dicono che un giudice abbia giustificato una pena tanto lunga col fatto che l'imputato era molto giovane. A Bangkok, nella notte del 7 novembre, mentre i rifugiati, gli attivisti, i dissidenti birmani raccontano queste storie, a volte piangono, ancora non si sa di preciso quanti dei 29 milioni di votanti abbiano partecipato, quanti abbiano aderito al boicottaggio proposto dalla National League for Democracy. Stando alle voci che arrivano al Foreign Correspondent Club Thailand, trasformato in osservatorio sulle elezioni (ai corrispondenti locali è negato il visto per la Birmania), il boicottaggio non ha avuto successo ma l'affluenza alle urne è stata scarsa. Sottile distinguo di un analista birmano in collegamento telefonico da Yangon. «La gente è stanca, non è interessata a queste cose». Accade, in un paese dove un terzo della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e il problema quotidiano è il cibo.

Per lo stesso motivo, probabilmente, non si denunciano gravi irregolarità nello svolgimento delle elezioni. Solo qualche intimidazione. Tenendo conto che, in Birmania, gravi irregolarità è un eufemismo per atti di violenza dell'esercito. Né si hanno notizie sul risultato, in termini di cifre, numero di seggi, proporzioni. Ma è comunque "matematico", coma ha spiegato qualche giorno fa Andrew Heyn, ambasciatore britannico in Myanmar (nome con cui è stata ribattezzata la Birmania per cancellare ogni reminiscenza "coloniale"). La vittoria se la giocheranno i due partiti più grandi, entrambi legati alla giunta militare. Il primo e più importante è lo Union Solidarity and Development Party (USDP), mutazione della Union Solidarity and Development Association, potente organizzazione a metà tra il sindacato e la milizia, con milioni di aderenti che in tal modo hanno accesso a posti di lavoro, cure mediche e istruzione. Il secondo è il National Unity Party (NUP), che si ricollega al programma del Partito Socialista dell'ex dittatore Ne Win. Le differenze tra i due partiti sono sfumate: il NUP si propone come forza più moderna, progressista, meno condizionata dai vecchi apparati di regime, per quanto sia formato in maggioranza da militari. L'USPD rappresenta lo Stato nella sua forma più monolitica. Com'è stato ben sottolineato, l'NUP sembra costituito per convogliare lo scontento in una struttura controllabile. Stando alle prime indiscrezioni provenienti da "dentro" (come ci si riferisce alla Birmania, con un termine che ben rende l'idea di uno stato concentrazionario), sembrerebbe che si sia rivelata un'idea vincente. Tra tutti e due i partiti di governo (paradossalmente definiti tali prima ancora che sia eletto un governo), ad ogni buon conto, hanno messo in campo due terzi dei candidati alle elezioni.

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Il maggior partito d'opposizione, nonché unico su scala nazionale, è la National Democratic Force (NDF), formato da transfughi dalla National League for Democracy in disaccordo con il boicottaggio delle elezioni chiesto da Aung San Suu Kyi. Secondo i 163 candidati dell'NDF, le elezioni rappresentano un passo avanti verso la democrazia e, soprattutto, «sono un modo per fare finalmente politica», come ha dichiarato uno di loro. Dai primi exit-poll (che qui consistono in domande fatte di nascosto e così trasmesse) sembra che anche l'NDF abbia ottenuto un discreto consenso. Tanto che c'è già qualcuno tra gli aderenti alla NLD che rimpiange la fedeltà alla Signora, come chiamano Aung San Suu Kyi. D'altra parte, secondo la vigente legge elettorale, l'NLD non avrebbe potuto partecipare alle elezioni dato che molti suoi membri (a partire da Aung San Suu Kyi) sono agli arresti. Per farlo avrebbero dovuto espellerli. La Signora non avrebbe comunque potuto candidarsi perché è stata sposata con un cittadino straniero (che non ha potuto assistere mentre stava morendo di cancro in Inghilterra, a meno di abbandonare la Birmania e non farvi più ritorno). Sono solo alcuni degli infiniti, continui, ricorrenti paradossi birmani che queste elezioni mettono in luce.

Ecco perché gli attivisti i birmani in esilio in Thailandia continuano a fare il segno delle virgolette con le dita ogni volta che pronunciano le parole elezioni, governo, parlamento. «In realtà noi non parliamo di virgolette parlamento virgolette, parliamo di un comitato esecutivo che controllerà la Birmania» dice Soe Aung, responsabile di Burma Partnership, associazione di gruppi dissidenti.

Gli altri partiti in lizza hanno ancor meno peso, soprattutto perché rappresentano alcune delle decine di minoranze etniche birmane e, in alcuni casi, si sono costituiti per offrire alla giunta militare qualche seggio extra, magari in cambio d'immunità nel traffico di droga. Rappresentano davvero il cuore di tenebra della Birmania. E per quanto riguarda tutto ciò che possa essere accaduto là, all'interno di quello spazio interno che non sia Yangon (la ex capitale birmana, oggi sostituita dalla misteriosa Naypyidaw, città composta da bunker sotterranei costruiti da ingegneri nordcoreani) si sa ben poco: qualche scaramuccia tra milizie etniche ed esercito. D'altra parte, come denuncia Debbie Stothard, coordinatrice di Altsean Burma, organizzazione per un'Asean alternativa, almeno un milione e mezzo di persone appartenenti alle minoranze etniche sono state escluse dalle elezioni. Perché non controllabili.

Ecco perché è matematico il risultato delle elezioni. «Anche se fossero eletti tutti, i candidati dell'opposizione, non raggiungerebbero una percentuale in grado di contrastare un parlamento dominato dai militari» precisa Khin Ohmar, presidente del "Network for Democracy and Development", una delle più importanti organizzazioni del dissenso birmano in esilio. Ma poiché in Asia le magie possono sempre accadere i generali si sono voluti premunire con la costituzione del 2008, approvata col 93% di sì in un referendum organizzato mentre ancora si contavano i morti del ciclone Nargis. Secondo quella surreale costituzione, i militari si riservano il 25% dei seggi in parlamento, nonché i ministeri degli interni, della difesa e degli "Affari di Confine". Nessuna legge può essere approvata se non ha la maggioranza del 75% (matematico ancora). Infine, per ulteriore sicurezza, il comandante in capo delle Forze Armate ha il potere di sciogliere il parlamento nel caso sia dichiarato (da lui stesso) lo stato di Emergenza Nazionale. «In questo momento abbiamo una sola speranza: che la comunità internazionale non riconosca queste elezioni. Per noi, oggi non ci sono state elezioni» dice Soe Aung. In realtà spera anche che sabato prossimo si compia un miracolo e Aung San Suu Kyi sia liberata. Ma è solo un attimo, alla fine di una notte elettorale per lui inesistente e che poteva solo perdere.

L'analisi. «Non sono stupidi. Il loro è un piano molto ben orchestrato: quello che vogliono ottenere è la legittimazione. I fattori esterni li favoriscono: la geografia, le potenzialità strategiche, le risorse naturali. Tutto contribuisce alla loro legittimazione» dice Khin Ohmar, giovane donna che presiede il "Network for Democracy and Development", una delle più importanti organizzazioni del dissenso birmano in esilio. I suoi timori si materializzano con le cosiddette elezioni del 7 novembre. I generali potrebbero davvero ottenere il loro scopo: la legittimazione. In Asia la legittimazione è un concetto canonico, esistenziale, sociale, politico: significa essere riconosciuti, affermare il proprio valore e quindi giustificare le proprie azioni. E' più importante della democrazia, dei diritti umani. Questi fanno parte dei cosiddetti "valori universali" propri della cultura occidentale. La legittimazione, invece, è il cardine degli "asian values", i valori asiatici che si stanno affermando in tutto il continente. In Cina, innanzitutto, ma anche nel sud-est asiatico, dal Vietnam alla Thailandia. Nell'ottica dei valori asiatici, il concetto occidentale di democrazia è sempre seguito da un aggettivo, che sia "illuminata", come la definiscono i neocon thailandesi, o "controllata" secondo Lee Kwan Yew, il padre-padrone di Singapore, il teorico dei valori asiatici. Per il generale Than Shwe, Signore assoluto della Birmania, le elezioni devono condurre a una "democrazia disciplinata".

Con queste elezioni è stato davvero fatto il primo passo. Finché il governo birmano era identificato nella giunta militare dell'SPDC (State Peace and Development Council) era più difficile per la comunità internazionale, compresa quella asiatica, giustificarne la politica, anche quando assumeva connotazioni etnocratiche. Ma ora che i militari hanno cambiato la divisa con abiti civili (anzi, con il longyi, tradizionale sarong birmano, segno d'identità nazionale, distacco dalla globalizzazione), potrebbe essere tutto più facile. «Le elezioni servono a rafforzare il governo militare mettendo in prima linea un parlamento civile» ha dichiarato David Scott Mathieson, analista dell'organizzazione Human Rights Watch. Un governo "civile" potrebbe giustificare più facilmente anche la politica di repressione delle minoranze etniche in nome dell'unità nazionale. L'offerta ad alcuni dei loro rappresentanti (come quelli del partito Shan, minoranza stanziata nel nord-est della Birmania) di far parte dell'esecutivo, dimostrerebbe la buona volontà del governo nel procedere verso un piano di riconciliazione. Non è un caso che Surin Pitsuwan, segretario generale dell'Asean, l'Associazione dei paesi del sud-est asiatico, pur esprimendo preoccupazione nei confronti della Birmania, considerata un ostacolo allo sviluppo dell'area, abbia dichiarato che le elezioni potrebbero rappresentare un'opportunità per riportare il paese nell'alveo della comunità internazionale.

Per quanto il presidente Obama, proprio il 7 novembre, a Mumbai, nel corso del suo viaggio di stato in Asia, abbia dichiarato che le elezioni di oggi in Birmania non sono «né libere né giuste», nonostante abbia sollecitato un'inchiesta internazionale sui crimini contro l'umanità commessi in Birmania, anche la sua amministrazione si è dichiarata disponibile a cooperare con eventuali eletti che si rivelino "indipendenti" e "liberali". È quello che sperano non solo i candidati dell'NDF, la National Democratic Force, unico partito d'opposizione a livello nazionale, ma anche alcuni esponenti del National Unity Party, partito che rappresenta l'ala più giovane e meno dura dei militari, sostenuto dall'élite urbana e finanziaria. Per molti "giovani turchi" del Tatmadaw, le forze armate birmane, e per i loro soci civili, la legittimazione politica significa la possibilità di ampliare il giro d'affari. Magari non il traffico di droga, ma il commercio di legname o di gemme, senza contare le possibilità di accordi con grandi imprese occidentali nel campo del turismo, dell'energia, delle assicurazioni, dell'outsourcing. Queste, a loro volta, si sentiranno più libere di cooperare con un governo civile anziché con i militari (come già fanno), limitando critiche, e soprattutto, eventuali boicottaggi dell'opinione pubblica occidentale.

Le elezioni e la conseguente legittimazione sono utilissime anche alla Cina, maggior sponsor del governo birmano, che ricambia con materie prime e accesso strategico all'Oceano Indiano. «La Birmania cominciava a imbarazzare anche i cinesi» dice un giornalista occidentale esperto in affari locali. Ma ora è proprio alle elezioni che si è appellato Li Baodong, ambasciatore cinese alle Nazioni Unite, per bloccare l'inchiesta proposta dal governo USA: si sarebbe dimostrata dannosa e controproducente in un momento di transizione così importante e delicato. La legittimazione ottenuta con le elezioni, però, può ritorcersi contro la Cina e avere un effetto ancor più profondo: mettere la Birmania sul mercato globale, trasformarla in un ago della bilancia regionale. E' quello che teme Khin Ohmar: «Il rischio è che le grandi organizzazioni come la ADB (la Asian Development Bank) considerino la Birmania un paese in transizione verso la democrazia e sostengano il governo con forti investimenti. A quel punto non ci sarebbero più speranze». Il che, in realtà, sembra stia già accadendo. Alla proposta americana, del resto, e con le stesse motivazioni cinesi, si sono opposti Russia, Singapore e i paesi dell'Asean. Pochi giorni prima delle elezioni è stato annunciato l'accordo per la costruzione della prima Zona Economica Speciale in Birmania, al confine con la Thailandia. L'India, poi, si è astenuta da ogni commento sulle elezioni: in quello che è stato definito il "corteggiamento" alla Birmania per sottrarla all'influenza cinese. Secondo voci locali starebbe addirittura cercando di trattare per la liberazione di Aung San Suu Kyi e altri dei 2000 prigionieri politici. Voce dissonante quella dell'economista Amartya Sen che ha definito le elezioni un "processo fasullo" mettendo in guardia contro "vane speranze".

In una prospettiva a medio termine, quindi, la Birmania può diventare non solo l'ago della bilancia del teatro asiatico ma essere quel peso che farà definitivamente spostare gli equilibri mondiali da Ovest a Est, far predominare i "valori asiatici" su quelli "universali".

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