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I finiani presentano le dimissioni dal governo. Sacconi: tradimento, Berlusconi o elezioni

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2010 alle ore 14:42.

Il primo atto ufficiale della crisi di governo si consuma oggi. Quattro finiani e un sottosegretario del Mpa presentano oggi a Gianni Letta una lettera di dimissioni irrevocabili dal governo: si tratta del ministro per le Politiche comunitarie Andrea Ronchi, del viceministro al Commercio estero Adolfo Urso e dei sottosegretari per l'Ambiente Roberto Menia e per le Politiche agricole Antonio Buonfiglio. A loro si aggiungerà il sottosegretario alle Infrastruture e trasporti dell'Mpa Giuseppe Maria Reina. I cinque invieranno a Silvio Berlusconi la lettera con le proprie dimissioni dall'esecutivo, («tre righe asciutte senza commento», ha spiegato Bonfiglio) e dopo tante parole saranno i fatti a scandire il percorso di una crisi che nasce al buio e al buio procede. Per ora infatti i finiani sono attestati sulle posizioni di partenza: serve un nuovo governo, con un nuovo programma, capace di appellarsi alle «forze responsabili del paese», ed è «piuttosto improbabile - ripete Italo Bocchino - che Berlusconi possa essere il premier giusto per guidarlo».

Bocchino non ha escluso in questa fase di aprire a un governo di coalizione che comprenda anche il centro-sinistra. A proposito di questo Urso spiega: «In questo Parlamento, ove necessario, ove non si riescano a raggiungere gli obiettivi che ci proponiamo, un'altra maggioranza per fare una riforma elettorale e consentire al paese di votare realizzando un sano, maturo, bipolarismo, ci sta. In questo caso ovviamente con chiunque ci stia, con tutti coloro che vogliono voltare pagina per consentire al paese di votare con un sistema che consenta agli italiani di scegliere davvero, in una sana alternza bipolare, tra un centrodestra moderno ed europeo e una sinistra che mi auguro sia altrettanto europea».

«Con il ritiro della delegazione dei finiani dal Governo si sta consumando il tradimento». Lo ha detto a Cividale (Udine), partecipando a un convegno di Confindustria, il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che ha precisato: «in questa difficile fase politica deve prevalere una regola oggettiva: o Berlusconi o elezioni». Per il ministro del Welfare, Berlusconi ora «dovrà innanzitutto verificare se ha il consenso in parlamento. Se non ci dovesse essere il consenso io credo che gli italiani non possano essere espropriati del loro diritto di scegliere chi li guida. Sarebbe davvero colpevole regredire ad un tempo nel quale il parlamento era frastagliato e i governi venivano composti e ricomposti secondo geometrie figlie solo della nomenclatura, del palazzo e non della volontà degli elettori».

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ll giorno dopo la lettera ai presidenti delle due Camere in cui ha ufficializzato la sua road map (prima la richiesta di fiducia al Senato e poi alla Camera, ma solo dopo il via libera alla finanziaria), il premier Silvio Berlusconi ha rilanciato intervenendo telefonicamente alla manifestazione organizzata dal Pdl a Milano. Così il cavaliere ha detto che pronto a chiedere lo scioglimento della sola Camera nel caso in cui l'esecutivo non raccogliesse la fiducia in questo ramo del Parlamento. «Se così non fosse - avverte il premier - credo che dovremo andare di nuovo a votare solo per la Camera». Un'ipotesi, prevista dall'articolo 88 della Costituzione, che era già circolata nei giorni scorsi per bocca del ministro della Difesa,l'ex An Ignazio La Russa e ripresa ieri anche dal collega della Funzione pubblica, Renato Brunetta. Ma il Pd con il vicepresidente del Senato, Vannino Chiti, ricorda a Berlusconi «che nel gennaio 2008 il governo Prodi ebbe la fiducia allaCamera e fu sfiduciato al Senato, ma la destra pretese le elezioni per entrambe le Camere e così fu».

Dunque il cavaliere sarebbe disposto anche a tentare la mossa estrema se la sua campagna acquisti a Montecitorio non dovesse dare i frutti sperati: presentarsi dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, per chiedergli di sciogliere solo la Camera. Qui la maggioranza conta al momento su 308 voti certi, quindi al di sotto dell'asticella della maggioranza assoluta fissata a 316. Ma il premier, giurano i suoi, metterà in campo le sue armi di seduzione migliori pur di conquistare quegli otto consensi che ancora mancano per garantirsi la fiducia anche a Montecitorio.

Il suo primo avversario Gianfranco Fini, che ieri ha rilanciato la cittadinanza accelerata per i figli degli immigrati regolari, manda però avanti il suo generalissimo Italo Bocchino per bocciare la strategia di Berlusconi. «L'ipotesi del solo scioglimento della Camera in caso di sfiducia è un escamotage che ha il solo obiettivo di tranquillizzare quei senatori pronti a sostenere un percorso di responsabilità che eviti al Paese l'ennesima campagna elettorale. Se la risposta di Berlusconi a una crisi di governo ormai conclamata è questa c'è da preoccuparsi seriamente per le istituzioni e per la soluzione dei problemi degli italiani». Quindi il capogruppo di Fli alla Camera ribadisce la linea dell'ex leader di An. «Restiamo convinti - aggiunge - Bocchino - che sarebbe opportuna una scelta nell'interesse dell'Italia, con le dimissioni del governo e l'avvio di un percorso virtuoso che richiami tutte le forze politiche alla responsabilità verso i cittadini».

Il cavaliere però è deciso a tirare dritto ed è più agguerrito che mai, racconta chi lo ha incontrato nelle ultime ore. E, intervenendo telefonicamente all'appuntamento del Pdl a Milano (nello stesso giorno in cui si celebrano le primarie del Pd e che hanno visto la vittoria di Giuliano Pisapia) lancia diverse stilettate alla Rai e ai giornali. «È una cosa indegna avere una tv pubblica di questo tipo - dice il premier -. La maggioranza degli italiani è con noi e non si lascia turlupinare dai programmi Tv offensivi che paghiamo tutti noi. È una cosa indegna avere una tv pubblica di questo tipo». Quanto ai giornali, Berlusconi ribadisce l'invito che nei giorni scorsi ha lanciato più e più volte: «Non leggeteli, fanno pubblicità una politica partitocratica che ragiona o sragiona come se gli elettori non esistessero. Ma esistono, e sono per il 60% con Silvio Berlusconi».

A dar man forte al premier interviene anche il leader della Lega, Umberto Bossi. «Secondo me Berlusconi vuole andare al voto perciò gioca al ribasso - replica il senatur a chi lo interpella sulla scelta del cavaliere di andare eventualmente al voto solo per la Camera - . Io giocherei al rialzo». Il numero uno della Lega poi ribadisce che Fini non ha mai chiuso le porte a un Berlusconi bis. «A me Fini ha detto che non gli dà fastidio vedere Berlusconi fare il presidente del consiglio - aggiunge Bossi - . Io sto alle sue parole». Poi il senatur si lascia andare a un allegro siparietto con i cronisti che gli sottopongono una serie di possibili successori al premier. Lui scuote la testa sentendo i nomi dei candidati quindi, ridendo, avanza la sua autocandidatura. «Chi potrebbe sostituire Berlusconi - conclude Bossi -. Io, e poi vedete...». Domani sera il premier, che oggi ha lasciato Roma diretto a Milano dove assisterà al derby Milan-Inter, incontrerà ad Arcore lo stato maggiore del Carroccio per un esame della situazione. All'incontro, oltre a Bossi, parteciperanno anche i ministri Roberto Calderoli e Roberto Maroni, e i tre coordinatori del Pdl.

Sulla scelta del premier e dei suoi di far partire la battaglia dal Senato, dove la maggioranza è più solida, l'opposizione attacca però a muso duro. Lo fa innanzitutto Pierferdinando Casini, leader dell'Udc.«Poiché è stata incardinata la mozione di sfiducia alla Camera bisognerà da lì partire per un dibattito che mi auguro sfoci con le dimissioni di Berlusconi. Forse Berlusconi si è dimenticato, in assoluta buona fede, che c'è una mozione già presentata alla Camera dei deputati, per cui è chiaro che, per un criterio minimale di correttezza istituzionale, bisogna partire dalla Camera. Ma non sarà certo questa la madre di tutti i problemi».

Anche il Pd, poi, torna a criticare Berlusconi con il numero due Enrico Letta. «Il Pd andrà avanti con la mozione di sfiducia alla Camera. Il governo sta tracheggiando, i mezzucci di andare prima al Senato dove pensa di essere più forte, poi alla Camera vogliono dire non guardare in faccia la realtà». Poco dopo gli fa eco il capogruppo Dario Franceschini che ribadisce quanto detto ieri. «Berlusconi, come sempre, pensa di essere più importante delle leggi, dei regolamenti e della Costituzione.Il premier è obbligato a venire in questa Camera e non può discrezionalmente andare in quell'altra perchè pensa sia più vantaggioso per lui». Mentre Antonio Di Pietro (Idv) che bacchetta il nascente terzo polo «complici di chi sta uccidendo l'Italia» e quanti, nel centro-sinistra guardano in quella direzione. «Dalla crisi non usciremo finché questo governo non se ne tornerà a casa una volta per tutte. E non ne usciremo neppure se, invece di pensare a una politica economica diversa, il centro-sinistra cercherà di allearsi con chi magari non vuole più Berlusconi, per vuole continuare a fare senza di lui le stesse identiche cose».

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