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Dopo lo scudo il vertice Nato dà il via libera alla strategia di transizione in Afghanistan

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2010 alle ore 22:36.

Via libera da parte del vertice Nato alla strategia di transizione in Afghanistan che partirà all'inizio del 2011 e ha l'obiettivo di riconsegnare la sicurezza «di tutte le province» del Paese alle forze locali «entro la fine del 2014». Lo si legge nel documento finale della riunione Isaf di stamani a Lisbona alla presenza del presidente afghano Hamid Karzai di cui l'Ansa ha avuto un'anticipazione.

La Nato sosterrà gli sforzi afghani nella direzione di «riconciliare e reintegrare quei membri dell'insorgenza che rinunciano alla violenza, tagliano i collegamenti con i gruppi terroristici e accettano la costituzione afghana».

Venerdì sera al vertice dell'alleanza atlantica era stato approvato il progetto di scudo anti-missile approvato venerdì sera .Un ombrello grande quanto basta per difendere non solo le truppe, ma anche le popolazioni e il territorio dei 28 alleati contro il rischio crescente di lanci di missili da parte di paesi potenzialmente ostili.

Gli alleati dispongono già di un programma anti-missile, ma solo per la difesa delle truppe dispiegate sul territorio. I sistemi esistenti, inoltre, non sono collegati tra di loro. Con il progetto di Lisbona, l'obiettivo è di estendere la protezione alle popolazioni e ai territori e di mettere in rete i diversi sistemi, rendendoli in grado di interagire tra di loro, all'interno di un'unica cornice e regia di comando. La parte del leone spetterà agli Usa che metteranno a disposizione degli alleati le ultime tecnologie in fatto di sensori ed intercettori.

Il sistema si avvarrà di postazioni fisse e mobili (patriots). «La componente chiave è una rete per lo scambio standardizzato di informazioni che consenta a un early-warning inviato da un paese di raggiungere il sistema intercettore di un altro, creando una difesa più capace e stratificata», ha spiegato l'ambasciatore Usa presso la Nato, Ivo Daalder.

I costi per la messa in rete dei sistemi esistenti sono relativamente bassi: 200 milioni di euro in dieci anni, divisi tra i 28 alleati, pari a nemmeno un mezzo carro armato l'anno. L'ambizione della Nato è di fare dialogare questo sistema con quello sviluppato dalla Russia.

Il vertice Nato-Russia,

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che si terrà domani alla presenza del presidente russo Dmitri Medvedev, dovrebbe lanciare uno studio congiunto su come realizzare una difesa antimissilistica comune. «Realisticamente, penso ad un legame tra i due sistemi, in modo tale da consentire uno scambio di dati e di informazioni», ha indicato il segretario generale Nato, Anders Fogh Rasmussen. Oltre all'avvio della cooperazione per il progetto di difesa missilista territoriale, l'Alleanza chiederà a Mosca di riprendere «da subito» la collaborazione per la difesa missilistica nei teatri di crisi.

Il documento conclusivo del vertice non nominerà i paesi che rappresentano una minaccia missilistica, così come aveva preteso la Turchia, ma riaffermerà il carattere «crescente» della minaccia che arriva da una trentina di paesi. La Francia aveva invece chiesto che venissero citati in particolare l'Iran e la Siria. Le conclusioni sanciranno un compromesso anche sulla seconda richiesta di Ankara, che punta ad ottenere una copertura integrale del proprio territorio attraverso il nuovo scudo. La Nato «cerca la piena copertura» è la formula che ha messo tutti d'accordo. Il nodo vero è però rappresentato dal centro di comando: dove sarà dislocato? Chi avrà in mano il bottone rosso? Domande che non avranno una risposta a Lisbona, ma solo nei prossimi mesi.

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