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La nuova Nato guarda a Oriente

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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2010 alle ore 08:40.

Quali sono le minacce che fronteggia la Nato e gli obiettivi del nuovo scudo antimissile? Come cooperare con la Russia e convincere la Turchia a vestire ancora la divisa, un po' consunta, di gendarme sul fronte orientale? Vent'anni dopo la fine della guerra fredda sono queste alcune delle domande al vertice di due giorni dell'Alleanza Atlantica che comincia oggi a Lisbona. La Nato deve reinventarsi un ruolo e un nuovo concetto strategico dopo essersi spinta ben al di fuori dei suoi confini, fino all'Afghanistan, dove sono schierati 150mila uomini, due terzi americani: nove anni di conflitto, 2.200 caduti e l'obiettivo di ritirarsi, forse, nel 2014.

Queste cifre ricordano che la Nato è un'alleanza in guerra proiettata verso Oriente, non un confortevole club di potenze e lo sottolinea pure il suo segretario generale, l'ex premier danese Anders Fogh Rasmussen il quale, alla vigilia, assicura che «i talebani sono sotto pressione e ne usciremo vincitori».
L'Afghanistan, dove la Nato si gioca gran parte della credibilità, è la maggiore operazione della sua storia, uno dei temi di Lisbona dove è atteso anche il presidente Hamid Karzai. Mentre alcune nazioni hanno già a annunciato calendari di ritiro questo termine è stato ufficialmente bandito: la parola d'ordine è "transizione", cioè il trasferimento della sicurezza agli afghani. Ma la verità è che sotto la pressione delle opinioni pubbliche e dei tagli di bilancio la maggior parte degli alleati vogliono disimpegnarsi.

Il piatto forte del vertice sarà la firma del "concetto strategico", un nuovo documento d'azione, come era già avvenuto dopo la caduta del Muro e poi nel '99, quando si era in piena guerra del Kosovo contro la Serbia di Milosevic ma ben lontani dalla catastrofe dell'11 settembre che davvero ha cambiato tutto.
Il punto centrale è che sarà riaffermato con forza l'articolo 5, secondo il quale un attacco contro uno degli stati membri è un attacco contro tutti: si tratta di allargare il mandato e accettare operazioni, come quella in Afghanistan, fuori dai confini Nato. Verrà quindi ribadito il concetto di difesa collettiva esteso alla mutua protezione contro le nuove minacce: gli attacchi terroristici di ogni tipo, da quelli cibernetici agli attentati convenzionali, dalle armi di distruzione di massa - come la possibilità che stati o organizzazioni tipo al-Qaeda possano dotarsi di armi nucleari - alla protezione delle fonti di approvvigionamento dell'energia.

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Per l'Alleanza l'imperativo di fissare obiettivi chiari (Afp)

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Tags Correlati: Ahmet Davutoglu | Anders Fogh Rasmussen | Asia Centrale | Bush | Dimitrij Medvedev | Europa | Hamid Karzai | Medio Oriente | Nato | Pubblica Amministrazione | Russia | Serghej Lavrov | Stati Membri | Teheran | Turchia

 

La seconda questione è lo Scudo di Obama, un sistema di difesa antimissile che dovrà proteggere tutta la Nato, dall'Europa agli Stati Uniti, un piano più ambizioso e costoso (20 miliardi di euro in 10 anni) di quello concepito dall'amministrazione Bush. Si parte nel 2011 e si finisce nel 2020 con lo schieramento in quattro fasi di sistemi d'arma contro ogni tipo di minaccia balistica, da quelle a corto e medio raggio a quelle intercontinentali, per contrastare eventuali lanci di missili dal Medio Oriente e dall'Asia centrale contro gli Stati Uniti. È sullo Scudo che Russia e Turchia sollevano le loro obiezioni.

La Nato sta tentando di lanciare un dialogo approfondito con Mosca: l'argomento centrale consiste nel dire che Nato e Russia non sono avversari ma condividono sfide comuni: vero ma fino a un certo punto. L'arrivo a Lisbona del presidente Dimitrij Medvedev è un passo avanti anche se dai russi arrivano segnali misti. Positivi sull'Afghanistan: la Russia è pronta ad ampliare le vie di transito per la Nato e potrebbe anche mettere a disposizione di Kabul elicotteri e addestratori, un ritorno modesto ma significativo degli shuravi dove negli anni 80 subirono una catastrofica sconfitta. Meno entusiasti i russi di vedere nuovi missili alle frontiere: «Apprezziamo - ha scritto sul Sole 24 Ore il ministro degli Esteri Serghej Lavrov - la proposta di Rasmussen di creare uno scudo congiunto ma la nostra partecipazione è possibile solo su una base paritaria, a ogni stadio».

Ma sullo Scudo, tra i 28 alleati, è la Turchia che serve convincere, il pilastro sul fronte sud-orientale dell'Alleanza dal 1952, che sta virando decisamente verso il Medio Oriente con la dottrina "zero problemi con i vicini" del ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, il quale anche al vertice del G-20 a Seul ha detto di «non considerare Teheran una minaccia». Ankara si è avvicinata all'Iran, vuole conservare un ruolo di mediatore sul nucleare e non gradisce le sanzioni contro Teheran. Soprattutto la Turchia non desidera di essere il primo bersaglio in caso di attacco. «Non ci interessa diventare il bastione di una nuova guerra fredda», dicono i turchi che chiedono un posto nella catena di comando dello Scudo e che i dati del sistema non siano accessibili a Israele.

Ma alla fine la Turchia forse non si opporrà, ottenendo che l'Iran non sia menzionato tra le minacce della Nato: il nome della repubblica islamica resterà così confinato, un po' ipocritamente, tra i documenti classificati.

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