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Governo sotto due volte alla Camera sulla ratifica delle modifiche al trattato Ue

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2010 alle ore 13:18.

L'ultima volta era successo il 9 novembre scorso con la maggioranza andata sotto per tre volte su altrettanti emendamenti al trattato tra Italia e Libia. E oggi nuovo scivolone in aula su un terreno rivelatosi scivolosissimo per la maggioranza: la ratifica delle modifiche al trattato dell'Unione europea che assegna all'Italia un seggio supplementare al Parlamento europeo. Con i finiani che si muovono insieme all'opposizione spingendo all'angolo Pdl e Lega. Così, su un emendamento della maggioranza, già bocciato la scorsa settimana in commissione Affari costituzionali e che sostanzialmente assegnava il 73° seggio al Pdl, Fli ha fatto muro con Pd, Idv e Udc. Facendo passare la linea secondo cui il nuovo deputato all'europarlamento toccaso al partito con il miglior resto non retribuito, dunque ai centristi.

In aula la proposta della maggioranza è stata battuta con 290 voti contrari e 251 favorevoli. E di certo hanno pesato le assenza, ma anche la strategia di qualche franco tiratore. I deputati del Pdl in aula erano infatti 195, quelli della Lega 50. Cui si aggiungono una decina di esponenti a gruppi fedeli alla maggioranza. Nel complesso dunque 255 consensi. Più di quanto poi ottenuto nel segreto dell'urna. Senza contare che sull'esito finale del voto hanno pesato i 25 esponenti di Futuro e libertà. Che si sono poi smarcati da Pdl e Lega anche in un secondo momento. Quando cioè, contrariamente all'indicazione arrivata dalla maggioranza che aveva invitato a votare contro l'articolo nel suo complesso per evitare «un vulnus», Fli ha fatto blocco con l'opposizione per assegnare il seggio supplementare all'Udc.

La strada di Berlusconi dunque si fa sempre più stretta da qui al 14 dicembre. Anche perché i finiani hanno fatto capire di volere avere le mani libere nell'appoggiare o meno i provvedimenti all'esame del Parlamento. Tanto che anche il ministro dell'Interno Roberto Maroni, parlando ai sindaci lombardi all'assemblea dell'Anci, non formula previsioni rassicuranti. «Non so neanche se arriveremo a fare il decreto di fine anno - dice riferendosi al milleproroghe -. Non so neanche cosa succederà il 14 dicembre». Ai sindaci, però, il titolare del Viminale assicura un'eventuale crisi di governo o le elezioni anticipate non interromperanno il varo dei decreti attuativi del federalismo.

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Insomma, per la Lega l'obiettivo resta immutato. Quale che sia il destino del governo Berlusconi. Anche se dalla sponda finiana non giungono certo segnali distensivi. Così il presidente della Camera, Gianfranco Fini, prima auspica «un restyling costituzionale», proponendo di ripensare gli articoli che definiscono le competenze di Stato e Regioni. Poi bacchetta il Carroccio quando sostiene che «l'orgogliosa rivendicazione del valore del localismo costituisce il tratto più tipico del populismo contemporaneo. Anche nel nostro paese il localismo ha costituito il terreno fertile su cui ha costruito la sua fortuna un movimento». Quanto basta per provocare la reazione del coordinatore del Pdl, Sandro Bondi. «Sarei curioso di sapere che cosa direbbe e quali iniziative assumerebbe la sinistra - replica il ministro - se il presidente della Camera pronunciasse delle parole critiche nei confronti delle posizioni programmatiche e politiche di un partito dell'opposizione, come è avvenuto oggi verso un partito di governo rappresentato in Parlamento come la Lega».

Nella maggioranza, dunque, le tensioni sono tutt'altro che sopite. E a riscaldare gli animi ci ha pensato oggi anche il capogruppo di Fli alla Camera, Italo Bocchino. «È evidente che non ci sono le condizioni per cui noi possiamo votare in questo momento la fiducia al governo Berlusconi», ha detto Bocchino intervenendo stamane su La 7. «Alla fine sono convinto che Berlusconi sceglierà la via più saggia che è quella delle dimissioni per evitare di essere sfiduciato». Immediata la replica del Pdl con il ministro Ignazio La Russa. «E chi ha mai detto che ci sono le condizioni...? Loro chiedono le dimissioni di Berlusconi, le dimissioni non ci saranno, quindi le condizioni evidentemente non ci sono». (Ce. Do.)

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