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Accordo sul pacchetto salva Irlanda

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2010 alle ore 06:36.

BRUXELLES - Oggi pomeriggio, salvo sorprese in extremis, si riuniranno a Bruxelles prima i ministri finanziari dell'Eurogruppo e poi quelli dell'Ecofin per mettere l'imprimatur al piano di salvataggio dell'Irlanda.
Un intervento da 85 miliardi di dollari, destinato a puntellarne settore bancario e conti pubblici e messo a punto nell'ultima settimana a Dublino dagli esperti di Commissione europa, Bce e Fmi con il governo irlandese.
L'idea è annunciare l'accordo prima dell'apertuta dei mercati, domani, nella speranza di bloccare finalmente l'effetto contagio sui mercati e dentro Eurolandia.

I negoziati su ultime condizioni e dettagli erano in corso ancora ieri sera in una Dublino scossa dai cortei di oltre 50mila manifestanti convenuti, nonostante la neve, da tutto il paese per protestare contro il governo di Brian Cowen: non solo e non tanto per la nuova stangata in arrivo ma anche e soprattutto per la sua «capitolazione» di fronte all'Europa ansiosa di stabilizzare l'area euro e dunque decisa a convincere l'Irlanda (come ha fatto) a chiedere assistenza.
«L'Irlanda non è in saldo, men che meno la sua indipendenza» scandivano gli slogan di migliaia di persone scese nelle strade per dire no all'accordo, insieme ai sindacati e ai due partiti di opposizione, laburista e Fine Gael, dati vincenti alle elezioni dell'anno prossimo.
Con un deficit pubblico al 32% (12 senza gli aiuti alle banche), con i rendimenti dei bond decennali schizzati oltre il 7,5% contro il 2,73 dei bund tedeschi, con la massiccia fuga di capitali dagli istituti di credito (Allied Irish e Bank of Ireland da giugno hanno perso 22 miliardi, l'Anglo Irish altri 12 in un anno) in realtà non c'era molto da scegliere.

Non più di tanto, a quanto pare, nemmeno sulle condizioni dei prestiti. Il Fondo monetario internazionale dovrebbe erogare la sua quota a un tasso del 3,4%, lo stesso garantito alla Grecia. Più esosa l'Europa che, secondo indiscrezioni di stampa locale smentite però ieri sera dal governo di Dublino, potrebbe arrivare al 6-7 per cento. «Un tasso superiore al 6% sarebbe inaccettabile» tuona l'opposizione. In realtà l'Efsf (European Financial Stability Facility) dovrebbe praticare (ma è da verificare) un tasso del 5,5%, contro il 5 concesso sei mesi fa alla Grecia.

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Mentre l'opinione pubblica irlandese grida al «tradimento» di un'Europa usuraia e matrigna Jean-Claude Juncker, il presidente dell'Eurogruppo, insiste che comunque non c'è parallelismo possibile tra Irlanda e Portogallo, in altre parole non c'è ragione perché il secondo diventi la terza vittima della crisi in atto. «Il Portogallo ha appena varato misure di bilancio significative e il suo settore bancario è solido».

Riuscirà davvero l'Europa a fermare il perverso effetto domino che, partito dalla Grecia, rischia di arrivare a colpire anche la Spagna e chissà chi altri ancora? Di sicuro i messaggi cacofonici lanciati dalle varie capitali europee, Berlino in primis, non giovano al recupero della stabilità né della credibilità dell'euro sui mercati. Lo stesso vale per i persistenti contrasti, tra gli altri, sui connotati da dare al meccanismo permanente anti-crisi che dovrebbe diventare operativo dalla metà del 2013 quando l'attuale arriverà a scadenza.
Mentre la Germania continua a insistere perché anche i detentori privati di obbligazioni del Tesoro siano chiamati a pagare parte di eventuali salvataggi sovrani, anche se sembrerebbe ormai rassegnata ad accettare la soluzione caso per caso invece di quella automatica, Juncker ieri ha ribadito i suoi dubbi in proposito. Smentendo al tempo stesso l'ipotesi dei giorni scorsi, di fonte tedesca, di un prossimo e sostanziale aumento dell'attuale Fondo europeo salva-stati da 750 miliardi (di cui 250 Fmi).
«Le sue risorse sono sufficienti» ha detto il presidente dell'Eurogruppo. Con la Germania che smentiva una volta di più le voci circa una sua conversione alla vecchia idea, sempre bocciata, di emettere eurobond.
Dopo le divergenze delle ultime settimane, pare invece che Fondo monetario e Unione europea si siano ormai messi d'accordo per concedere alla Grecia l'allungamento da 6 a 11 anni dei tempi di rimborso del prestito cogiunto da 110 miliardi. A darne notizia è stato, in un'intervista a un giornale ellenico, Poul Thomsen, il funzionario del Fondo competente per il salvataggio di Atene.

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