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Favorevole o contrario? Così i finiani si dividono sulla sfiducia a Silvio Berlusconi

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2010 alle ore 19:41.

A sentire le parole di uno dei falchi finiani la contabilità in vista di una possibile sfiducia a Silvio Berlusconi al momento pende dalla parte dei "sì" «I due terzi dei parlamentari - spiega un deputato oltranzista di Futuro e libertà - ha già dato la disponibilità per la sfiducia. Il restante terzo preferirebbe non dover ricorrere a questo gesto estremo ma, qualora fosse necessario, non mancherà di allinearsi alla scelta di rottura che dovesse essere posta da Gianfranco Fini». Messa così la rottura con il Cavaliere, in assenza di risposte, sembrerebbe in cassaforte, ma la verità è che la pattuglia di Fli «non è una caserma», per dirla con gli stessi finiani.

Insomma, tutt'altro che un monolite. Il cui destino dipende ovviamente da Gianfranco Fini, ma anche da un gruppetto di deputati che fa capo al presidente della commissione Lavoro, Sllvano Moffa. È lui, infatti, insieme all'ex sottosegretario Pasquale Viespoli, l'ago della bilancia. «La vera domanda da fare - ragiona un ex An che conosce molto bene Fini e i suoi uomini - è chiedersi quanta gente seguirebbe Viespoli e Moffa se decidessero di non votare la sfiducia e di smarcarsi dal presidente della Camera». La conta è presto fatta. Perché se il dissenso rispetto a un'eventuale sfiducia portasse alla lacerazione a Moffa e a Viespoli potrebbero accodarsi altri 6 deputati: Catia Polidori, Giuseppe Consolo, Francesco Proietti, Carmelo Patarino, Roberto Menia e Gianfranco Paglia. Senza contare un gruppetto di quattro indecisi (Andrea Ronchi, Luca Bellotti, Giampiero Catone e Giorgio Conte) molto in difficoltà rispetto a un gesto di rottura con il Cavaliere.

Almeno 11 deputati recalcitranti, dunque. Per non dire delle perplessità dei senatori. Dove, sulla stessa linea di Viespoli, si collocano almeno altri tre senatori: Maurizio Saia, Giuseppe Menardi e Candido De Angelis. Anche se il numero dei malpancisti sembra destinato ad allargarsi se si prova a fotografare le posizioni rispetto a un eventuale mozione di sfiducia con l'Udc. «Le strade da percorrere sono tante - ammette l'ex tesoriere di An, Francesco Pontone - la mozione è una delle strade ma non è la migliore». Lo stesso ritornello intonato anche da un altro collega di palazzo Madama, Edigio Digilio. «Tendenzialmente io sarei per non presentare la mozione - spiega il senatore - ma se proprio bisogna farlo non capisco il senso di un documento depositato insieme ai centristi».

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Insomma, la parola sfiducia, comuque la si evochi solleva diverse resistenze sotto il tetto dei finiani. E anche per questo l'ex leader di An ha deciso di tenere tutto congelato e di rinviare qualsiasi decisione al 13 dicembre. «Io sono rimasto al percorso che prevede di attendere l'intervento del premier e poi di riunirsi per decidere il da farsi - dice non a caso Moffa -. Qualsiasi altra strada rispetto a questa road map è per me una novità». Tradotto: nulla è ancora deciso e soprattutto i distinguo restano in piedi. Per ora senza redde rationem, ma i moderati sperano ancora nella mediazione di Gianni Letta e soprattutto in un colpo d'ala del Cavaliere. Che risolverebbe in un battibaleno patemi d'animo e crisi di coscienza.

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