Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2010 alle ore 12:16.
Con un messaggio inequivocabile inserito stamattina sulla propria pagina di Twitter la creatura di Julian Assange è tornata a vivere in Rete, dopo che nelle ultime ore era risultata essere inaccessibile per via del boicottaggio operato dai provider che la ospitavano sui propri server, Amazon in testa. Da qualche ora WikiLeaks è quindi di nuovo in attività e rende di dominio pubblico, dalla Svizzera, le centinaia di migliaia di file riservati carpiti alle autorità americane: il nuovo dominio ha infatti il suffisso .ch e cliccandolo si viene indirizzati a un nuovo indirizzo Ip che porta alla home page del sito da dove poter consultare i "cablogrammi" segreti del Dipartimento di Stato Usa e i "diari" relativi alla guerre in Iraq e Afghanistan.
La cronaca delle ultime 48 ore è stata assai densa di colpi di scena e non solo per le reazioni scatenatasi in ogni parte del globo in seguito alle pubblicazioni del 28 novembre. Superati gli attacchi hacker di tipo "denial of service" di cui era stato oggetto nell'imminenza delle prime rivelazioni, WikiLeaks.org ha dovuto incassare a stretto giro di posta l'interruzione del servizio da parte di Amazon prima e di Everydns.net poi, i provider che facevano girare sui propri server il sito di Assange. Costretto a inventarsi continue alternative per cercare di tenere sempre in linea il sito. Stando ai bene informati, l'unica ancora di salvezza per WikiLeaks, fino a poche ore fa, è stato solo un fornitore svedese, Bahnhof, sulle cui macchine (utilizzate prima del passaggio ad Amazon) sono stati probabilmente appoggiati anche la pagina di Twitter e due siti (https://donations.datacell.com e http://collateralmurder.com/en/support.html) deputati a raccogliere fondi per l'attività.
La chiusura dei rubinetti operata dai provider americani si spiega presumibilmente con le pressioni su di loro esercitate dai governi di mezzo mondo e in particolare da quello americano. Ufficialmente, a detta di EveryDNS.net, la decisione è stata presa nell'interesse di utenti e clienti e in relazione al fatto che gli attacchi Ddos multipli cui è stato sottoposto il sito "hanno minacciato – si legge in una nota - la stabilità di un'infrastruttura che abilita l'accesso ad oltre 500mila domini Web e rischiano di fare lo stesso in futuro". In casa Wikileaks ovviamente la pensano in modo diverso e per tutta risposta hanno scritto su Twitter che il dominio è stato "ucciso dal provider Usa". A sancire la fine delle relazioni con Amazon, invece, è stato un altro emblematico messaggio postato in Rete, il seguente: "if Amazon are so uncomfortable with the first amendment, they should get out of the business of selling books". Un'accusa diretta alla società che tempo addietro si oppose inizialmente alla richiesta di ritirare una guida alla pedofilia, in vendita sul suo sito, pur di tutelare il diritto alla libertà di espressione.