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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2010 alle ore 16:14.
Dall'enorme sversamento di greggio nelle acque del Golfo del Messico alla mancata approvazione da parte degli Stati Uniti di una legge sul clima, al fango tossico in Ungheria, la maggior parte delle notizie riguardanti l'ambiente è stata scoraggiante nel 2010, per non dire spaventosa. Un piccolo motivo per essere ottimisti tuttavia c'è: la foresta amazzonica brasiliana è in condizioni un po' migliori. Le immagini riprese da satellite dall'Istituto nazionale brasiliano per la ricerca spaziale mostrano che il ritmo di deforestazione nella foresta pluviale del Brasile si è quasi dimezzato nel 2010, ed è stato dell'85 % più lento rispetto al 2004. Ciò significa che il Brasile ha rispettato l'impegno di ridurre la deforestazione dell'80 % con dieci anni di anticipo rispetto alla scadenza fissata.
Per farsi un'idea della significativa miglioria occorre dare alla situazione una giusta prospettiva: quest'anno il Brasile ha abbattuto e bruciato una fetta grande come il Lussemburgo della foresta che produce il 20 % dell'ossigeno del pianeta. Come a settembre ha giustamente fatto notare il sito Web della rivista Nature, in termini di riduzione delle emissioni di biossido di carbonio il rallentamento del processo di deforestazione del Brasile corrisponde più o meno alla quantità di anidride carbonica che gli Stati Uniti hanno in programma di risparmiare di qua al 2020. Questo trend potrebbe altresì stare a dimostrare che le nuove iniziative brasiliane – quali l'Arco Verde, che assicura incentivi economici ai cittadini brasiliani che in passato dipendevano per la loro sopravvivenza dalla vendita di legname -, come pure maggiori controlli e una più rigorosa applicazione delle normative vigenti stanno iniziando a dare i loro frutti. Gli scettici osservano che la maggior parte di tale riduzione è avvenuta durante la crisi finanziaria globale – la produzione industriale del Brasile è calata del 5,5 % nel 2009 - anche se in effetti tale trend è perdurato anche quando l'economia si è rimessa in moto.
Dal punto di vista ambientale, però, l'operato del presidente uscente Luiz Inácio Lula da Silva non è del tutto esente da macchie. Basti pensare, tra altre cose, alla controversa diga amazzonica di Belo Monte, che a lavori ultimati sarà la terza per grandezza del pianeta, ma comporterà l'allagamento di oltre 414 chilometri quadrati di foresta e lo sradicamento di decine di migliaia di indigeni.