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Democratici in trambusto per l'accordo sulle tasse che sancisce la virata al centro di Obama

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2010 alle ore 08:51.

WASHINGTON – La Capitale è in trambusto. Era inevitabile che il primo vero accordo bipartisan in due anni lasciasse l'amaro in bocca a qualcuno. In questo caso l'amarezza è per i democratici, che reagiscono con una certa ansia all'accoppiamento di due nomi che fino a pochi mesi era semplicemente impossibile: "il piano Obama McCullen". È il nomignolo affibbiato al compromesso raggiunto dall'amministrazione con i repubblicani e in particolare con il capo della minoranza repubblicana al Senato, Mitch McCullen per prolungare per due anni i tagli fiscali introdotti dall'amministrazione di George W. Bush.

«È l'accordo migliore che potevamo fare – ha detto ieri Barack Obama con un atteggiamento frustrato ma di sfida nei confronti dei compagni di partito – . Era importante sostenere l'economia in un momento di fragilità per la crescita e abbiamo ottenuto concessioni per il rinnovo dei sussidi per la disoccupazione e per una riduzione delle trattenute in busta paga che aiuterà la classe media...l'alternativa era quella di non fare nulla».

Che piaccia o no alle correnti liberal del partito democratico, con questo accordo Barack Obama compie una virata verso il centro, dimostra di aver recepito il messaggio delle elezioni e di fatto accetta di lavorare con i repubblicani tenendo conto delle esigenze di tutti: «Siamo un paese nato dal compromesso, fatto di moltitudini diverse fra loro...siamo a Washington per concludere delle cose, non per perderci in battaglie inutili...».

È stato a quel punto Obama è apparso addirittura combattivo nei confronti dei suoi compagni di partito. E irritato dalle resistenze annunciate al suo progetto un po' da tutti dal capo della maggiornaza al Senato Harry Reid a politici di minor calibro uniti dall'indignazione per quello che vedono come un cedimento del loro leader: «Avremmo dovuto tenere duro ci sono molti modi per ottenere risultati».

Ma Obama il pragmatico guarda al futuro : «Dobbiamo scegliere se concludere qualcosa o se cullarci dietro principi puri e santificanti che alla fine concludono poco – ha detto in uno dei rari momenti in cui ha perso il suo proverbiale controllo – e se avessi tenuto duro sapete che cosa sarebbe successo? Entro la fine dell'anno due milioni di americani non avrebbero avuto i sussidi che gli consentono di mettere un pasto sul tavolo e decine di milioni di americani avrebbero visto il loro reddito diminuire di migliaia di dollari a partire da gennaio...». È il volto quello che abbiamo visto ieri di un presidente pragmatico, ma anche solitario: in tregua armata con i "nemici" repubblicani, in fredda glaciale con l'ala della sinistra del suo partito che è poi la sua base politica.

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Obama inaugura la fase bipartisan e tenta la mediazione con i repubblicani sul fisco

Barack Obama sacrifica sull'altare della realpolitik uno dei suoi cavalli di battaglia:

Accordo tra Obama e i repubblicani sui tagli fiscali dell'era Bush

Il presidente Usa, Barack Obama, ha raggiunto un accordo con i repubblicani sui tagli fiscali. Il

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Il messaggio è dunque passato. Un messaggio politico che punta al dialogo coi repubblicani purche' ci siano dei ritorni: ad esempio si dice in cambio di queste concessioni Obama potra' ottenere la ratifica del trattato Start uno dei piu' importanti obiettivi di politica estera. Ma c'e' un altro messaggio di sottofondo: quello che ha fatto di importante, ad esempio la riforma sanitaria, l'ha fatto. In futuro si potra' meglio. Ma ora Obama deve governare il giorno per giorno per far uscire il paese dalla crisi e per produrre dei risultati.

La natura del baratto l'avevamo gia' anticipata martedì. Prevede un prolungamento dei tagli fiscali di Bush cosi' come sono per i prossimi due anni. Gli aumenti delle aliquote per le fasce di reddito superiori ai 250.000 dollari all'anno, «irrinunciabili» secondo Obama fino a poche settimana fa, non ci saranno. Fra le concessioni di Obama che meno sono piaciute ai democratici vi e' stata quella per la tassa di successione: il Presidente americano ha accettato senza battere ciglio la proposta repubblicana, di imporre cioe' un'aliquota del 35% solo per le eredita' superiori ai cinque milioni di dollari. I democratici chiedevano un tetto piu' basso, di tre milioni di dollari e un'aliquota piu' elevata.

In cambio il presidente ha ottenuto concessioni per il prolungamento dei sussidi per la disoccupazione, appena scaduti, per 13 mesi e una riduzione delle trattenute sociali in busta paga per favorire sopratutto la classe media. Il taglio sara' di due punti percentuali in termini assoluti, si scendera' dal 6,2% al 4,2% per le trattenute sociali in busta paga di responsabilita' dei lavoratori fino a uno stipendio di 106.800 dollari. Per una coppia questo si tradurra' in un guadagno aggiuntivo massimo di 4.272 dollari (2.136 a testa). Le tasse sui guadagni di capitale e quelle sui dividendi resteranno invariate al 15%.

La combinazione della conferma delle vecchie aliquote con le nuove concessioni ottenute da Obama si traduce a tutti gli effetti in un nuovo colossale programma di stimoli. Nell'accordo infatti si e' deciso si far ricadere tutti gli eccessi di spesa sul disavanzo senza neppure cercare di compensare I tagli fiscali con nuovi tagli di spesa. Questo significa appesantire il disavanzo pubblico di altri 900 miliardi di dollari nei prossimi due anni, una cifra colossale che di fatto non rappresenta nulla di diverso da uno stimolo per sostenere la domanda interna e un tasso di crescita che resta debole.

Questo ha naturalmente preoccupato I mercati. In un primo momento, in apertura, la borsa era partita con una corsa agli acquisti sfrenata poi una riflessione e infine la chiusura con un leggero ribasso. Sull'entusiasmo degli investitori per la riduzione delle tasse e per la vittoria della posizione repubblicana favorevole al "business" ha prevalso la sobrietà di un altro messaggio: i prezzi dei titoli del Tesoro decennali sono scesi e I rendimenti sono saliti fino al 3%. Un messaggio che rivela il nervosismo di un mercato preso tra due fuochi. Da una parte si sente l'esigenza di sostenere la crescita e rilanciare l'occupazione con misure di stimolo, dall'altra ci si rende conto che il passaggio da massiccie dosi di steroidi a una crescita naturale e sostenibile senza bisogno di massicce dosi di interventi del governo non e' necessariamente automatico.

E ci rende conto che prima o poi la resa dei conti, e cioe' la riduzione del disavanzo pubblico sara' inevitabile. Ma l'amministrazione socmmette proprio su questo: gli effetti benefici sull'economia ci saranno, gli occupati aumenteranno e con loro gli introiti fiscali, fino a provocare quel circolo virtuoso che rimetterà le cose a posto. Possibile. Ma ad esser convinti che il copione sarà davvero quello roseo immaginato dalla Casa Bianca e dai repubblicani non sono in molti. E i pessimisti continuano a dire che, al di la' dell'apertura politica di Obama (ma quanto durera', da una parte e dall'altra?), al di la' della ricompensa che potrebbe avere con la ratifica del trattato Start, la resa dei conti potrebbe essere stata solo rimandata.

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