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Gelmini al lavoro per correggere la riforma dell'università dopo i rilievi del Colle

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2011 alle ore 14:12.

Ministero dell'Istruzione al lavoro per apportare le correzioni chieste da Giorgio Napolitano al ddl Gelmini sull'università, che ancora però non è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Viale Trastevere conta di risolvere le quattro criticità segnalate dal Capo dello Stato (sui professori aggregati, le borse di studio "territoriali", i limiti di reddito per i professori a contratto e i lettori in lingua estera) nella fase attuativa della riforma, visto che serviranno oltre 40 provvedimenti, tra decreti e circolari ministeriali, per rendere operative le nuove regole che riscrivono governance e gestione del personale all'interno degli atenei. I primi decreti probabilmente arriveranno per febbraio-marzo.

Per il relatore al Senato del ddl, il finiano Giuseppe Valditara - che ha visto citato dal presidente Napoliano un suo ordine del giorno (per garantire risorse adeguate ai nuovi atenei) - le osservazioni del Colle richiederanno a breve un decreto ad hoc «che possa integrare e correggere il testo». Resta comunque in piedi la necessità di un "ulteriore confronto" soprattutto con gli studenti per attuare la riforma dell'università, come ribadito dallo stesso Napolitano anche nel messaggio di fine anno.

Tornando alle questioni tecnico-giuridiche sollevate dal Quirinale, la prima riguarda l'articolo 6 del ddl relativo al titolo di professore aggregato e alle modalità di attribuzione di tale titolo ai ricercatori a tempo indeterminato. Il Quirinale chiede di fare un «miglior coordinamento formale» e, se del caso, sopprimere il comma 5 dell'articolo in questione, che permette di conservare il titolo di professore aggregato per l'anno accademico in cui i ricercatori svolgono corsi e moduli, oltre che nei periodi di congedo straordinario per motivi di studio di cui il ricercatore usufruisce nell'anno successivo a quello in cui ha svolto l'anno d'insegnamento. Si tratta di una «svista» della Camera, spiega la relatrice a Montecitorio del ddl la pidiellina Paola Frassinetti, di una ripetizione di due commi, che prima abrogano una parte della legge 230 del 2005 sul reclutamento dei docenti universitari, poi la richiamano. Sotto questo aspetto, forse, aggiunge, lo strumento normativo più opportuno per fare la correzione chiesta dal Colle «potrebbe essere un decreto interpretativo ad hoc. Ma anche una norma interpretativa inserita in sede di conversione del decreto Milleproroghe». Ipotesi quest'ultima che vede d'accordo anche il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini.

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Il Colle ha puntato poi il dito anche contro l'articolo 4, e in particolare contro la previsione che riserva il 10% dei premi per merito agli studenti residenti nel luogo in cui ha sede l'università. La norma è stata voluta dalla Lega ed è politicamente la più "delicata". È stato il governatore del Piemonte, Roberto Cota tra i primi a sollevare il problema che nelle università dove è maggiore la presenza di studenti fuori sede, i residenti vengono penalizzati. Argomentazioni bocciate nettamente dal Colle secondo cui invece la previsione di una riserva basata sul criterio dell'appartenenza territoriale appare «non pienamente coerente con il criterio del merito». Non sarà facile, nei decreti attuativi, trovare una soluzione che accontenti tutti. E c'è già chi, come la senatrice Pd ex vice ministro dell'Istruzione, Mariangela Bastico parla di «norma incostituzionale» e che «disincentiva la positiva mobilità geografica degli studenti».

Delicata anche la questione sulla "nuova" disciplina dettata per i lettori di scambio all'articolo 26, che Napolitano chiede di formulare «in termini non equivoci e corrispondenti al consolidato orientamento della corte costituzionale». In pratica, i lettori internazionali hanno fatto causa perchè gli spettavano gli arretrati. La legge ora garantisce i diritti arretrati, ma in una certa misura e con una limitazione rispetto a quanto richiesto dai lettori stranieri. Da correggere infine, secondo il Colle, pure l'articolo 23, che disciplina i contratti d'insegnamento per esperti. Il punto contestato da Napolitano riguarda la previsione di un reddito minimo annuo (non inferiore a 40mila euro) tra i requisiti soggettivi di carattere scientifico e professionale per ottenere il contratto. Una norma voluta, spiegano fonti ministeriali, per evitare forme di precariato: non utilizzare giovani che non lavorano, come del resto chiesto anche da un emendamento del Pd. Norma però di difficile applicazione e bocciata anche da Valditara: prevedere il limite di 40mila euro per un dipendente della pubblica amministrazione chiamato con contratto a insegnare è «ridicolo».

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