Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2011 alle ore 15:58.
«In tutto il mondo non è uno scandalo coinvolgere mondi privati» nell'università. Lo ha
detto il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, secondo cui il Governo «non ha in testa la privatizzazione dell'università o l'idea di svilire la sua connotazione pubblica».
«Il Governo - ha spiegato il ministro in un'intervista radiofonica - ha l'intenzione di rendere l'università non autoreferenziale, non chiusa, ma aprirla al territorio, al contributo di tutti». Avere inserito nel cda la possibilità «che ci sia un numero limitato di esponenti provenienti da
altri mondi è un beneficio per tutti» ha aggiunto il ministro facendo riferimento al contributo di imprese, fondazioni bancarie, associazioni di categoria. «Abbiamo la necessità di mescolare il pubblico e il privato e puntare sull'efficienza, ma anche su un ricambio generazionale» ha osservato Mariastella Gelmini secondo la quale «il connubio tra impresa e ricerca rende più competitivo il Paese».
La riforma
«Penso che il tempo sia galantuomo e che gli aspetti positivi, i benefici che sicuramente deriveranno dalla riforma dell'università, a medio termine verranno riconosciuti anche da coloro che oggi sono critici e scettici». Il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, è tornata a parlare del ddl che riordina il sistema universitario in un'intervista radiofonica.
«La cosa che più mi ha sorpreso e che non pensavo prima di diventare ministro - ha detto il ministro ammettendo che la riforma «è stata molto combattuta» - è che cercare di
cambiare le cose in questo Paese costasse tanta fatica e comportasse tante polemiche. In realtà questa riforma non è ideologica, è improntata al buon senso, alla presa d'atto che
oggi l'università così come è ha molte ombre e poche luci e c'era il bisogno di cambiare, di allinearci con l'Europa, di introdurre criteri legati alla meritocrazia, al ricambio generazionale. Continuo a pensare - ha concluso - che sia una riforma pensata per i giovani, poi qualcuno è andato in piazza, ma io penso che il tempo sia galantuomo».
«Penso che le celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia non debbano essere solo un rituale, ma andrebbero vissute come qualcosa di proprio dagli italiani». «Su questo la scuola può fare moltissimo» ha aggiunto ricordando che il ministero ha predisposto un portale ad hoc. «Sicuramente queste celebrazioni - ha concluso - devono partire da una grande partecipazione della scuola per rendere 'vivò l'avvenimento. Devono essere l'occasione per riscoprici un Paese unito pur nel rispetto delle differenze dei territori».