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Il Fmi in pressing sull'Ungheria: la riduzione del debito sia strutturale. E Budapest perde fiducia nell'euro

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2011 alle ore 21:21.

VIENNA - La presidenza europea dell'Ungheria non poteva cominciare in modo peggiore. Mentre la Commissione europea entro questa settimana invierà una lettera al governo ungherese per chiedere spiegazioni dopo le «preoccupazioni» suscitate dalla cosiddetta «legge bavaglio» sui media, ieri a Vienna il rappresentante del Fondo monetario internazionale (Fmi) ha annuciato che non basta che l'Ungheria riesca a ridurre il suo debito, ma chiede che la riduzione sia strutturale. L'ha affermato senza mezzi termini martedì Iryna Ivaschenko, la rappresentante permanente dell'Fmi a Budapest durante un incontro organizzato da Unicredit sulla "Competitività: il motore per una crescita di lungo periodo" nell'ambito del Central Eastern European Forum di Euromoney in corso a Vienna.

Ivaschenko, rispondendo a una domanda, ha richiamato l'intervista rilasciata dal primo ministro ungherese Viktor Orban al giornale tedesco Bild, nella quale il capo del governo magiaro ha annunciato che Budapest intende effettuare un importante taglio del debito pubblico dall'80 al 72-73 per cento del Pil.

«Una riduzione del debito è sempre la benvenuta», ha commentato Ivaschenko rispondendo a una domanda del numeroso pubblico peresente, ma non volendo entrare nei dettagli. «Quello che però viene richiesto - ha continuato - su un più lungo periodo di tempo, è che la dinamica del debito sia sostenibile e che mantenga una traiettoria di riduzione». Anche Anne-Marie Gulde, senior adviser dell'Fmi per l'European Department, ha detto sempre a Vienna a margine del medesimo convegno che sebbene l'Europa centro-orientale sia ritornata largamente alla crescita, la regione sta ancora soffrendo per gli aggiustamenti macroeconomici necessari e rimane «vulnerabile».

Gulde è stata particolarmente critica verso il premier ungherese Victor Orban che ha varato misure una tantum sul fronte delle entrate includendo le imposte sulle banche (che stanno innervosendo gli investitori internazionali presenti al convengo) e ha ricollocato 14 miliardi di euro dai fondi pensione privati alle esigenze del bilancio pubblico. In futuro però bisognerà pagare comunque queste pensioni e il governo di Budapest sta facendo delle manovre contabili che potranno soddisfare nel breve le esigenze statistiche di Eurostat ma che nel lungo periodo rappresentanto «prestiti sul futuro del paese».

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Tags Correlati: Banca Mondiale | Budapest | Croazia | Dominik Radziwill | Eurostat | Fmi | Iryna Ivaschenko | Unione Europea | Victor Orban | Vienna | Viktor Orban |

 

Fmi, Unione europea e Banca mondiale hanno accordato nel 2008 un prestito anti-crisi da 20 miliardi di euro all'Ungheria. Il governo di centrodestra guidato da Orban, entrato in carica a metà dello scorso anno, non ha tuttavia voluto sottoscrivere nessun nuovo accordo con l'Fmi e ha detto di non voler utilizzare nuove tranche del prestito come se la crisi fosse passata. Una mossa giudicata a margine del convegno Euromeoney azzardata dagli operatori che hanno altresì espresso perplessità sulla nuova normativa antimultinazionali che sta instaurandosi nel paese magiaro.

Europa centro-orientale divisa sull'euro

Un altro tema caldo affrontato al convegno di Vienna è stato l'Unione monetaria e i suoi tempi di attuazione.

L'Ungheria sembra aver perso fiducia nell'euro. Attraverso sempre alcune recenti dichiarazioni di Viktor Orban, primo ministro dell'Ungheria, nonché presidente di turno dell'Ue, secondo il quale oggi «è meglio non star dentro» l'euro. Orban, per Budapest, prevede un ingresso nell'eurozona «non prima della fine del decennio» cioè nel 2020 e considera l'Estonia, entrata nell'eurozona il primo gennaio scorso, «una nazione coraggiosa». Più prudente il vice ministro delle Finanze polacco Dominik Radziwill, che vede l'orizzonte dell'ingresso nell'eurozona per Varsavia «in due anni», senza fretta e mantenendo mani libere sulla politica monetaria e valutaria.

Tutta un altra musica per la Croazia che invece non vede l'ora di entrare nella Ue e poi nell'euro. La Croazia la quale, una volta entrata nell'Unione europea, ha intenzione di chiedere «il prima possibile» l'adozione dell'euro. L'ha affermato il segretario di Stato alle Finanze di Zagabria Zdravko Maric sempre al Central Eastern Europe Forum di Euromoney.

Zagabria, sembra avere una una visione più ottimista. «Certo la crisi dell'eurozona ha pesato», ha chiarito il membro del governo croato. «Tuttavia - ha continuato - il processo d'integrazione è andato così avanti, che i negoziati finiranno quest'anno. Entreremo nell'Unione europea e dopo presenteremo la candidatura per entrare nell'eurozona il prima possibile».

«Il fatto è - ha ricordato Maric - il paese è molto "eurizzato"»: con i paesi dell'eurozona è gran parte del commercio estero di Zagabria, il turismo viene prevalentemente dai paesi dell'eurozona e il settore bancario è all'80% in mano a banche di paesi dell'unione monetaria. D'altronde, il valore dell'ingresso nell'Ue è ormai stato introiettato dai croati. «Pur vedendo gli effetti della crisi dell'eurozona - ha spiegato Maric - i croati quando verrà il momento, completati i negoziati e quando si terrà un referendum, in maggioranza voteranno sì all'euro».

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