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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2011 alle ore 18:47.
Imbarazzo. È questa l'emozione più diffusa nel mondo cattolico dopo le rivelazioni che emergono sul caso Ruby e che coinvolgono il presidente del Consiglio. Imbarazzo per come la vicenda si sovrappone alla questione politica, ma anche per come la magistratura e la stampa trattano gli avvenimenti, con modalità giudicate intrusive e aggressive. Con la Cei, sussurrano in molti, in difficoltà, costretta al silenzio dall'eccessiva vicinanza negli anni passati a Silvio Berlusconi e alla sua parte politica. E poi c'è lo sconforto nel constatare il deperimento del rispetto delle istituzioni, a tutti i livelli.
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Anche se, elettoralmente parlando, il mondo cattollico ragiona e agisce sempre più in ordine sparso, sulla stampa che si riferisce ai credenti c'è una certa omogeneità nei commenti. La domanda più forte che arriva è quella sul futuro della politica italiana. «Il paese ha bisogno di ripartire», dice Michele Zanzucchi direttore di Città Nuova che fa riferimento al mondo dei Focolarini di Chiara Lubich. «La commistione tra pubblico e privato scricchiola» e di questo è consapevole anche la base «che a noi ha inviato molte lettere con la richiesta di prendere posizione». «Credo che la stessa cosa sia avvenuta anche ad Avvenire che si è espresso con chiarezza».
La cosa più grave «non è quello che circola su giornali e siti» secondo Luigi Amicone, direttore del settimanale Tempi, ma «il fatto che non abbiamo un sistema giuridico democratico, come la presunzione di innocenza e i processi dovrebbero garantire». È un sistema «che va riformato», dice Amicone. Che suggerisce ai cattolici di stare tranquilli, perché «non abbiamo il complesso dell'inquisizione laica, peraltro in malafede». E cita Giovanni Agnelli che ai tempi del sexgate Clinton-Lewinskky parlò di campagne che finiscono per «decretare in diretta l'impiccagione, con sentenza universale, sommaria e spaventosa». E le definì «un cortocircuito tra democrazia, morale, politica, assemblearismo, populismo». Il direttore di Tempi ricorda anche la lezione di San Paolo che davanti ai divertimenti degli imperatori invitava i cristiani a pregare per il principe.