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Berlusconi: non sfuggo ai giudici. I pm pronti a chiedere il processo. Bossi: abbassare i toni

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2011 alle ore 09:15.

All'indomani dell'affondo contro Gianfranco Fini sferrato al Senato da Pdl e Lega, Umberto Bossi indossa i poco consueti panni di "pompiere" – tanto da far dire ironicamente a Pier Ferdinando Casini che siamo arrivati al punto in cui il leader più moderato è proprio il senatur – e frena gli attacchi al presidente della Camera. «Tutti dovremmo abbassare i toni e fare meno casino...», avverte Bossi, preoccupato soprattutto per le sorti del federalismo fiscale e del decreto attuativo di quello municipale, in procinto di entrare nella settimana decisiva in commissione bicamerale senza ancora alcuna certezza sui numeri necessari per il via libera.

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Mentre Silvio Berlusconi attacca a tutto campo, assicurando prima in Consiglio dei ministri e poi nell'ormai tradizionale videomessaggio ai promotori della libertà che intende andare avanti «nell'interesse del Paese», che l'attacco delle «toghe rosse» sarà respinto e che è non ha «alcun timore a farsi giudicare», ma di fronte al suo giudice naturale, che «non è la procura di Milano, ma il tribunale dei ministri», Bossi conferma che quella mostrata ieri è la versione "di governo" e non "movimentista" della Lega, frenando anche sulla manifestazione di piazza annunciata dal Pdl per il 13 febbraio in sostegno di Berlusconi, contro il «fango» del caso Ruby. «Non lo so, devo parlare con i miei perché io sono ancora il capo di un partito», spiega, lanciando una "frecciatina". Nell'immediato, l'unica cosa a cui guarda la Lega di governo è il federalismo e il voto di giovedì prossimo in bicamerale sul decreto attuativo del fisco comunale. Bossi ha assicurato che non intende "mollare" Berlusconi né in cambio del federalismo fiscale con un governo diverso né dopo la eventuale approvazione da parte di quello attuale dei decreti attuativi dell'articolo 119 della Costituzione sul fisco federale. Ma non nasconde il suo fastidio per le vicende legate al caso Ruby, «pasticci che complicano le cose...», e si mostra piuttosto freddo sull'allargamento della maggioranza («vediamo su che basi e per fare cosa») su cui insiste invece il presidente del Consiglio.

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Quest'ultimo ieri è sembrato volere rassicurare l'alleato sulle sorti del federalismo fiscale, dicendosi certo del successo della riforma. «Andrà in porto e garantirà l'unità d'Italia». Dopo avere ricordato tutti i risultati raggiunti dal governo, Berlusconi ha così ribadito che «ora siamo impegnati a condurre in porto il federalismo, realizzando una riforma storica, che ridisegnerà il volto dello Stato nel 150esimo anniversario dell'unità d'Italia». Insieme al federalismo, gli altri obiettivi concreti con cui il governo ha risposto alla «politica di palazzo» sono fisco, Sud, giustizia e sicurezza. «Noi – spiega il premier – abbiamo approvato questi provvedimenti, a eccezione della riforma tributaria, alla quale stiamo lavorando con le forze sociali, e di quella della giustizia, bloccata da Fini e dai suoi». Da oggi in poi, però, queste riforme, assicura il Cavaliere, «saranno in testa all'agenda del governo, insieme al federalismo».

Quanto alla manifestazione del 13 febbraio, il cui annuncio ha provocato forti tensioni e l'organizzazione di contromanifestazioni (tra cui quella di Michele Santoro davanti al tribunale di Milano) e di altre già previste tutte concentrate in quella data, la frenata di Bossi e, soprattutto, le preoccupazioni e la moral suasion di Giorgio Napolitano hanno indotto il Pdl a mettere a sua volta il piede sul freno. «Al momento - ha detto Ignazio La Russa - la manifestazione è solo un'ipotesi che stiamo esaminando e dobbiamo verificare». E Fabrizio Cicchitto ha spiegato che non è stato ancora deciso nulla.

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