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Sul caso Ruby la Camera dice no ai pm e rimanda gli atti alla procura di Milano

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2011 alle ore 07:48.

«Vedremo», è la laconica risposta dell'onorevole Niccolò Ghedini, uno dei due legali del premier indagato per concussione e prostituzione minorile, a chi gli chiede quale sarà, adesso, la prossima mossa della difesa contro la Procura di Milano. L'aula della Camera ha appena approvato la restituzione degli atti ai pm milanesi, perché non li ritiene «competenti» a indagare e li accusa di aver agito con intenti «ritorsivi e persecutori» verso Silvio Berlusconi, sottraendolo al suo «giudice naturale», il Tribunale dei ministri. La maggioranza ha incassato 315 voti (se ne aspettava 317), l'opposizione si è fermata a 298, e il tabellone luminoso ha registrato un'astensione, quella di Luca Barbareschi (dato in uscita da Fli) che poi però smentisce e dice di aver fatto verbalizzare il suo no, come quello dei finiani. «Numeri buoni. Per ora il governo va avanti», dirà il leader della Lega Umberto Bossi. «Una vicenda umiliante» commenta Pierluigi Bersani del Pd. Una «decisione criminale», secondo Antonio Di Pietro (Idv).

Una «vittoria» solo politica, perché la "sentenza" di Montecitorio non vincola la Procura, che infatti conferma di voler chiedere il processo lampo tra lunedì e martedì. Ghedini lo sa ed esclude che, prima della decisione del Gip Cristina Di Censo sul rito immediato possa essere sollevato conflitto di attribuzioni tra poteri da parte della difesa, tramite il governo o la stessa Camera. «Non possiamo rischiare di farlo dichiarare inammissibile dalla Corte costituzionale», osserva, ricordando che il Codice è il Codice e che un avvocato «non fa forzature». E però non esclude che, prima del verdetto del Gip, possa succedere qualcosa. «Vedremo», si limita a dire con un mezzo sorriso.
C'è euforia nelle file della maggioranza. L'emiciclo della Camera si riempie nell'ultima mezz'ora e prima del voto è tutto esaurito. I banchi del governo straripano di ministri e sottosegretari, tanto che alcuni (Alfano, Maroni) vanno a sedersi nei posti del Pdl e in quelli della Lega. Le donne Pdl sono schierate in prima fila: Stefania Prestigiacomo, Mariastella Gelmini, Michela Brambilla, Giorgia Meloni... Nessuna sembra in imbarazzo. Nelle file dell'opposizione, invece, donne e uomini sfoggiano sciarpe e nastrini bianchi che simboleggiano la protesta in difesa della dignità delle donne. C'è anche Giulia Bongiorno, neomamma al suo primo rientro alla Camera, accolta da un calorosissimo applauso e da strette di mano (compresa quella di Alfano). Berlusconi lascia vuota la sua sedia, anche se è a lui che sono indirizzati molti interventi dell'opposizione.

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Dario Franceschini, capogruppo del Pd: «Sappia che una persona innocente, onesta, non ricorre a stratagemmi, ma corre a presentarsi davanti ai magistrati! Il suo è un tentativo maldestro di stabilire la competenza del Tribunale dei ministri, un altro trucco per sottrarsi alla giustizia», aggiunge, ricordando che per essere processati davanti al tribunale dei ministri occorre l'autorizzazione a procedere del Parlamento. Tra le urla del centrodestra, Franceschini accusa Berlusconi di fare così «da 17 anni» e di raccontare «fandonie» quando dice alla Tv di essere stato «sempre assolto». «Basta con le balle!» grida, elencando le leggi ad personam approvate negli anni dalle camere. Quanto alla tesi del Pdl, secondo cui il premier telefonò alla Questura di Milano perché, "salvando" Ruby, «salvava le relazioni con l'Egitto», il capogruppo del Pd ironizza e gli dà un consiglio: «La prossima volta, mandi un ambasciatore e non una ragazza che poi la affida a una prostituta brasiliana, altrimenti lo zio potrebbe prenderla a male». Il finiano Nino Lo presti rincara la dose chiedendo come mai il premier poi non avvertì del rilascio di Ruby il ministro degli esteri o l'ambasciatore egiziano.
È Maurizio Paniz che si incarica di difendere Berlusconi. Avvocato, si lancia in una violentissima requisitoria contro la Procura di Milano, accusandola di aver impegnato «150 uomini» e speso «1 milione di euro» per «spiare» Berlusconi e di aver agito con «scientifica puntualità» e con un «chiaro intento politico». Insiste nel dire che il premier telefonò in questura «non per esercitare pressioni» ma «nella convinzione che Ruby fosse nipote di un capo di Stato». Esclude che siano stati commessi dei reati e conclude: «Noi abbiamo inasprito le pene contro la prostituzione, ma non siamo noi ad essere andati a patti con la mafia».

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