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Algeria, quella pentola a pressione sul punto di esplodere

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 febbraio 2011 alle ore 20:59.

Quella pentola a pressione che da vari anni è l'Algeria sembra sul punto di esplodere. O comunque di perdere il suo vecchissimo coperchio ermetico. Il fuoco sarà alimentato dal dissenso di migliaia e migliaia di cittadini, di giovani diplomati e senza lavoro (i cosiddetti "muristi", perché passano le giornate appoggiati ai muri delle case della capitale in attesa di un impiego che non si materializza mai), di berberi cui è sistematicamente negata l'identità culturale e l'uso della lingua, degli integralisti che reclamano la vittoria elettorale scippata dall'esercito nel gennaio del 1992 al Fronte islamico di salvezza (Fis) e che ancora alimentano gli ultimi barlumi di una guerriglia che ha fatto tra 150 e 200mila vittime e dei laici che rifiutano ogni ipotesi di shar'ia: tutto questo si concentrerà domani nella strade di Algeri.

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Regime non più in grado d'imporre con la forza la sua volontà
La mano di ferro con cui il regime del presidente Bouteflika ha finora compresso in blocco queste contraddizioni potrebbero alzarsi di colpo liberando energie sorprendenti. O invece ricadere ancora con forza sul contenuto della pentola, disperdendolo almeno per qualche tempo. Ma una cosa appare certa: il regime non appare più in grado d'imporre agli algerini con la forza la sua volontà.

Algeri come Tunisi?
Domani Algeri come ieri il Cairo e ieri l'altro Tunisi? Possibilissimo. Sulla carta, anzi, l'Algeria appare pronta già da varie settimane a seguire gli esempi delle altre "primavere arabe", contenendo la pentola tutti gli ingredienti adatti. E non è detto che gli sviluppi siano relativamente pacifici come sono stati quelli tunisini o egiziani. Perché la gente sembra cosciente dell'occasione del tipo "oggi o mai più" che le si presenta. E perché, al contrario, il regime dichiara, almeno a parole, di voler difendere con ogni mezzo il suo potere. Ben 30mila poliziotti nella capitale e 10 mila di riserva nei dintorni sono pronti a impedire che le molte migliaia di dimostranti attesi da ogni angolo del paese riescano a raggiungere Algeri, perché «la legge vieta l'organizzazione di marce nella capitale». Miloud Chorfi, portavoce del "Raggruppamento nazionale democratico" (governativo), è parso un po' patetico quando ha provato a giustificare la mossa del regime dicendo «il divieto della marcia di domani non è stato deciso per impedire agli algerini di esprimersi, ma per proteggerli da ogni deriva; è stato messo in campo per proteggere i beni e garantire la sicurezza degli algerini. Non bisogna dimenticare il rischio di un atto terroristico».

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Tags Correlati: Africa del Nord | Ahmed Ouyahia | Egitto | Fis | Fronte islamico di salvezza | Miloud Chorfi | Porto di Algeri

 

Lacrimogeni nel porto di Algeri
E, tanto per non avere sorprese, «importanti quantità di lacrimogeni sono state scaricate nel porto di Algeri», ha denunciato il "Coordinamento nazionale per il cambiamento e la democrazia", che riunisce tutta l'opposizione, legale e non, dopo gli incidenti di piazza che il 21 gennaio scorso hanno causato 5 morti e oltre 800 feriti. Proiezione di desideri inconfessabili o reale timore che qualcuno "peschi nel torbido", resta il fatto che la giornata di Algeri rischia di diventare "storica" in qualunque modo finisca. Se il regime sceglierà la linea dura, scatenando "a prescindere" le sue truppe e innescando una carneficina che non potrà che portare a sviluppi dirompenti. A partire dalla spaccatura delle parte più "sensibile" dell'esercito al vento di novità che spira da Oriente e dalla conseguente caduta del regime. O se il numero dei manifestanti sarà tanto grande da indurre il potere a lasciare inoperosa la polizia. Con una vittoria "pacifica" della piazza, cui seguirà una fase più o meno lunga e "morbida" di trattative con il regime, sulla falsariga di quanto è accaduto al Cairo. Partendo dall'immediata revoca dello stato di emergenza in vigore dal 1992. O se, ancora, le strade saranno semivuote. E allora Bouteflika potrà mostrarsi magnanimo, senza reprimere i pochi coraggiosi che l'avranno sfidato. O potrà stravincere, lanciando una "caccia all'uomo" che lasci sulle carni del popolo una traccia difficile da dimenticare per anni. Insomma, "colpirne uno per educarne cento", secondo una vecchia logica terroristica nostrana. Vittoria di Pirro, se mai fosse, perché nessuno accetta più di rientrare nella pentola come un genio di Aladino da fiaba rivisitata.

Da oggi l'Algeria volta pagina
Da oggi, comunque, l'Algeria volta pagina. Alla ricerca del suo spazio democratico fatto di diritti civili e tolleranza religiosa, di libertà di parola ma anche e soprattutto di libertà dal bisogno materiale e dalla corruzione. Le stesse richieste che hanno riempito strade e piazze di Tunisi e del Cairo. Ma con una diversità molto significativa: qui la corruzione, se possibile, è ancora più grande e pervasiva che nel resto del Nord-Africa. Il reddito procapite algerino, almeno sulla carta, e in linea con quello del resto della regione (7.100 dollari nel 2010, contro 9.500 della Tunisia e 6.350 dell'Egitto). Questo nonostante la colossale ricchezza (42 miliardi di euro nel 2010, +25% sul 2009, secondo quanto ha ammesso il mese scorso il ministro dell'Energia e delle Miniere, Youcef Yousfi: si tratta del 75% delle entrate statali e del 97% del valore delle esportazioni) che giunge dagli idrocarburi. Perché, di tale ricchezza, buona parte prende la via di conti correnti blindati che la nomenklatura del regime mantiene in paesi fidati, in genere del Golfo Persico ma anche di paradisi fiscali caraibici. E solo le briciole cadono, per benigna concessione del regime, fino ai diseredati, sotto forma di prezzi largamente sovvenzionati dei prodotti di base: pane, olio, latte, cous cous. La disoccupazione sulla carta è crollata dal 30% del 1999 al 10% dello scorso anno, quella giovanile è al 21,5%, secondo quanto dichiarava il premier Ahmed Ouyahia al Consiglio nazionale 1l 19 dicembre scorso. Ma la gente ha una percezione reale del tutto diversa. Soltanto l'intrallazzo con il regime o la corrotta sottomissione ai "cacicchi" del Fln e dei loro alleati-satelliti può garantire un posto di lavoro "sicuro". E "a spasso", realmente, c'è assai più del 10% sbandierato. È anche a tutto questo che Algeri oggi cercherà di dire "basta".

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