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Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2011 alle ore 09:33.
IL CAIRO. Cinquanta parole. Pronunciate con un tono secco e asciutto. Cinquanta parole – poco più, poco meno – che ieri nessuno ormai si attendeva. Che pongono fine a un regime durato 30 anni. Che sanciscono la vittoria di una rivoluzione storica, guidata dai giovani sui social network, e ridisegnano la geopolitica del Medio Oriente.
Sono passate da poco le cinque del pomeriggio: il vicepresidente Omar Sulemain parla alla nazione dalla tv di Stato.
Obama e il nuovo rebus d'Egitto (di Christian Rocca)
Il mondo arabo entra nel futuro (di Alberto Negri)
Obama: ora la democrazia (di Mario Platero)
Lo scacco matto che fa tremare i governi arabi (di Khaled Fouad Allam)
«Cittadini, in nome di Dio misericordioso, nella difficile situazione che l'Egitto sta attraversando, il presidente Hosni Mubarak ha deciso di dimettersi dal suo mandato e ha incaricato le forze armate di gestire la situazione nel Paese. Che Dio ci aiuti». L'Egitto esplode in urla di gioia.
Centinaia di migliaia di persone accorrono per festeggiare in Piazza Tahrir, l'epicentro e simbolo della rivolta. Qualcuno trova però il tempo per esprimere i suoi timori. Perché da oggi a guidare il paese più popoloso del mondo arabo, tradizionale alleato degli Stati Uniti, sarà il ministro della Difesa, il maresciallo Mohammed Hussein Tantawi. Lui insieme al Consiglio supremo di Difesa, incaricato dallo stesso Mubarak la sera precedente. E Tantawi, classe 1935, comandante dell'esercito da 16 anni, non è certo un illuminato progressista.
Poco dopo il discorso di Suleiman, il Consiglio di stato dirama il comunicato numero 3. Dopo aver elogiato Mubarak per essersi dimesso nell'interesse della nazione, e aver reso omaggio ai "martiri" della rivolta – le vittime ufficiali sono 304 – precisa: «Siamo consapevoli della gravità e della serietà della situazione, così come delle richieste del popolo di avviare cambiamenti radicali. L'alto Consiglio militare diffonderà una dichiarazione in cui definirà i passi, le procedure e le direttive che saranno adottate, confermando al tempo stesso che non c'è alternativa alla legittimità accettabile per il popolo».
Dopo 18 giorni di proteste, oltre 300 morti, e milioni di egiziani in piazza, il presidente Hosni Mubarak, 82 anni, al potere da 30, ha ceduto, perdendo contro un nemico disarmato ma determinato, un movimento di giovani senza leader, trasversale, che è riuscito a coinvolgere gli egiziani di tutte, o quasi, le religioni e le estrazioni sociali. Nessuna sa con precisione dove si trovi Mubarak. La versione più credibile è quella fornita dall'esercito e da Suleiman: a Sharm el-Sheik.