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Economia Aziende

Risorse, ricerca e produzione la posta in palio nel paese

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2011 alle ore 09:41.

La vicenda Fiat sta riconfigurando il nostro paesaggio industriale. Sergio Marchionne ama il gioco delle carte. In questo caso, ci sono diverse poste in palio. Per l'azienda e per il paese. Perché la partita intorno al Lingotto produrrà conseguenze profonde e durature sul futuro manifatturiero italiano.

La sede. «Who knows?». «Chi lo può sapere?». La scorsa settimana a San Francisco hanno chiesto a Marchionne se il nuovo aggregato Chrysler-Fiat potrebbe avere la sede principale negli Stati Uniti. La sua risposta ha causato un cortocircuito mediatico, per le ricadute politico-simboliche e materiali (per esempio, dove pagare le tasse). Non è all'ordine del giorno il trasferimento da Torino (Italia) a Auburn Hills (Michigan)? Resta però il problema di quale ruolo ricoprirà l'Italia, e la sua vecchia capitale industriale, nella mappa dei centri decisionali, nelle reti delle competenze e negli equilibri dei mercati. Per ora si profila un policentrismo con Detroit cuore naturale del Nord America, il Brasile dove la fabbrica di Betim è il nocciolo duro di una realtà nazionale che da anni ormai garantisce buona parte dei margini e una Torino destinata a presidiare il maturo (e per ora fonte di insuccessi) mercato europeo. Da valutare, qualora si procedesse a uno svuotamento sostanziale di Torino, l'onda d'urto sulla filiera. La maggioranza degli economisti industriali, infatti, sostiene che non possa esistere un sistema automotive acefalo, senza la testa di un produttore finale: chi fra i componentisti non è in grado di muoversi in autonomia sui mercati globali avrebbe un destino, nella migliore delle ipotesi, da fornitore low cost delle case tedesche.

I soldi. La cifra indicata da Marchionne per l'originario piano di Fabbrica Italia è di 20 miliardi. Mese dopo mese, però, la fisionomia del progetto ha perso i contorni e, alla fine, è arrivata l'ufficializzazione del Lingotto: Fabbrica Italia è stata spacchettata e per gli investimenti si procede sito per sito. Pomigliano d'Arco, dove si realizzerà la nuova Panda, vale 700 milioni. La scorsa settimana sono state attivate le procedure per le assunzioni dei 4.800 operai (prime firme il 7 marzo) nella newco creata dopo l'esito positivo, anche se non plebiscitario, del referendum interno. A Mirafiori, dove l'accordo senza Fiom è stato votato dalla maggioranza dei lavoratori, l'investimento è di 1,3 miliardi. Soldi da iniziare a spesare nei prossimi mesi, per poi produrre due suv, uno Jeep e uno Alfa Romeo. I primi modelli di una gamma tutta da rinnovare nella speranza - per il Lingotto - di convincere gli acquirenti italiani ed europei a comperare di nuovo Fiat facendo così cambiare idea ai critici che hanno sottolineato, dopo l'acquisizione di Chrysler, l'esiguità numerica delle nuove macchine annunciate da Torino.

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Tags Correlati: America del Nord | CGIL | Chrysler | Confindustria | Federmeccanica | Fiat | Mercato del lavoro | Pomigliano d'Arco | Sergio Marchionne | Torino | Who

 

Le linee e le piattaforme. Può essere un bel business o un'occasione persa, per l'industria meccanica italiana, la conversione delle fabbriche Fiat al world class manufacturing, il post-toyotismo che dovrebbe portare gli stabilimenti italiani a livelli di efficienza e di saturazione, modelli permettendo, paragonabili a quelli polacchi. Ogni linea di produzione nuova costa intorno ai 500 milioni di euro. La Fiat, usando come pivot la controllata Comau, dove acquisterà i sistemi meccanici necessari per costruire da zero le linee di Mirafiori e degli altri stabilimenti? Li comprerà in Italia o all'estero? Nella complessa dialettica fra grande e piccola fabbrica, un altro nodo critico è rappresentato dal luogo dove verranno concepite le prossime piattaforme comuni: Torino o Detroit? Non è soltanto un problema di commesse. È soprattutto una questione di accumulazione della conoscenza di base: il sapere tecnologico e la cultura professionale concentrati nella piattaforma si "emulsionano" e si espandono, attraverso i fornitori coinvolti, lungo tutta la filiera. Che, in questa maniera, viene "fertilizzata". Se questo accade a Detroit e non a Torino, il rischio è duplice. Prima di tutto la trasformazione di Mirafiori e degli altri siti produttivi italiani in "fabbriche cacciavite", deputate soltanto all'assemblaggio di autovetture concepite altrove. Quindi, la graduale desertificazione della componentistica nazionale.

Le relazioni industriali. In Italia la dura linea anti-concertativa di Marchionne, attuata senza troppe preoccupazioni per gli effetti sistemici in un paese nei fatti conservatore e immobile come l'Italia, sta modificando il perimetro della rappresentanza e la natura delle relazioni sindacali. Sotto la spinta di una Fiat che, per Pomigliano d'Arco e per Mirafiori, costituisce due newco al di fuori di Confindustria, Federmeccanica ha introdotto il tema del contratto aziendale. Ha preso piede l'idea di un contratto di settore che riguardi l'auto. Al di là di come si configureranno gli assetti prossimi venturi della rappresentanza, il punto che fa da perno al cambiamento radicale impresso da Marchionne è però il rapporto con il sindacato. Due le incognite in quello con la Fiom: se i metalmeccanici Cgil adotteranno la strategia giudiziaria anti-newco inondando di ricorsi i tribunali del lavoro e se resisteranno alla tentazione di rendere ingovernabili gli stabilimenti, a colpi di scioperi improvvisi.

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