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La protesta infiamma Teheran, 400 arresti e una vittima negli scontri. Il regime imbavaglia i media

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2011 alle ore 07:39.

Sull'onda lunga del risentimento arabo, ieri un migliaio di iraniani sono tornati a protestare nel centro di Teheran, per la prima volta dopo 14 mesi e come già successo dopo le contestate elezioni presidenziali del 2009. Centinaia di arresti - si parla di 400 - e un morto è il bilancio degli scontri di ieri, durante i quali l'opposizione ha bruciato i cassonetti e le forze di sicurezza hanno usato i gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. In serata a Teheran era tornata la calma. Una calma surreale. Il regime degli ayatollah vieta ai giornali stranieri di seguire le manifestazioni. Spinto dai nuovi disordini in un'area strategica per il greggio, il Brent ha chiuso ieri a 103,08 dollari al barile (+2,1%), il massimo dall'estate 2008.

La tv di stato iraniana ha precisato che l'opposizione è scesa in piazza senza i permessi necessari, e mandato in onda le immagini di un uomo arrampicato su una gru: minacciava di suicidarsi se la polizia si fosse avvicinata, ma è stato arrestato. E proprio la gru avrà fatto riflettere l'opinione pubblica, perché è il macabro strumento delle impiccagioni: 69 dall'inizio dell'anno, approfittando dei riflettori accesi sul mondo arabo.

Incoraggiata dal successo di tunisini ed egiziani, ieri l'opposizione iraniana si era data appuntamento in piazza della Rivoluzione. Ufficialmente, per esprimere solidarietà nei confronti di Tunisia ed Egitto, in linea con le autorità che reclamano la paternità degli eventi nordafricani. In realtà, era ovvio che volessero protestare contro i vertici della repubblica islamica che, se da una parte si congratulano con gli insorti nei paesi arabi, dall'altra non tollerano il dissenso interno. In tanti si chiedono: «Se gli egiziani sono riusciti a cacciare il presidente Mubarak, perché noi non possiamo farcela?».

Ma Teheran non è il Cairo, dove l'esercito (equipaggiato e finanziato dagli Usa) non ha sparato sulla folla, permettendo ai dimostranti di restare in piazza Tahrir. Nella capitale iraniana il movimento verde aveva pianificato di dimostrare da meidun-e Enqelab (la piazza della Rivoluzione) a meidun-e Azadi, la piazza della Libertà in cui poco più di 32 anni fa il carismatico Ayatollah Khomeini fu acclamato da una folla che aveva rovesciato il sovrano alleato di Washington. Ora, per avere successo, l'opposizione iraniana dovrebbe tirare dalla propria parte le forze di sicurezza: missione impossibile, al momento, poiché a reprimere il dissenso sono pasdaran e basij, rappresentanti di quel ceto basso che - in virtù di salari e sussidi diretti - rappresenta lo zoccolo duro del regime.

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Inoltre, a Teheran le autorità non si sono fatte cogliere di sorpresa: il 10 febbraio avevano messo agli arresti domiciliari Mehdi Karroubi e ieri la stessa sorte è toccata a Mir-Hossein Moussavi, l'altro leader del movimento verde. Non solo: hanno istituito una sezione speciale per perseguire coloro che, nel mondo dei media e della cultura, violano il codice di comportamento della repubblica islamica. E, in previsione delle dimostrazioni, hanno bloccato nei motori di ricerca la parola Bahman (l'undicesimo mese del calendario persiano, di cui ieri ricorreva il 25esimo giorno) per rallentare la diffusione dei messaggi volti a promuovere le dimostrazioni.

Come reagisce l'amministrazione Obama alle proteste iraniane rispetto alla rivolta egiziana? Ieri il segretario di stato Hillary Clinton ha esortato Teheran a «sbloccare» il proprio sistema politico, sottolineando come gli Stati Uniti sostengano le rivendicazioni dei manifestanti. In precedenza il dipartimento di stato aveva utilizzato Twitter per inviare messaggi di sostegno agli iraniani in piazza, sottolineando il «ruolo storico» dei social network. Anziché l'inglese, aveva utilizzato il persiano, ed è un passo avanti. In risposta, le autorità iraniane hanno però bloccato la rete. E comunque, come gli egiziani non hanno avuto bisogno dell'incoraggiamento di Teheran per scendere in piazza, agli iraniani non serve questo sostegno americano. Perché non fa che consolidare la tesi del regime, secondo cui i dimostranti sono «nemici della rivoluzione e spie».

Nei giorni scorsi le autorità iraniane si sono congratulate con tunisini ed egiziani per aver rovesciato i loro dittatori, ma non tollerano il dissenso interno. Questa schizofrenia è il leitmotiv di Teheran, dove la borghesia vive come in Occidente, ma San Valentino è vietato e sulle tv di stato sono stati messi al bando i piatti occidentali, pizza inclusa. Come negli anni Trenta, al tempo dello Shah, anche oggi chi detiene il potere si sente sotto assedio e teme il contagio straniero: il fondatore della dinastia Pahlavi aveva epurato il vocabolario dai termini arabi e rimosso il calendario islamico a favore di quello persiano. Ma chiudere i confini non può impedire le contaminazioni e oggi a Teheran va di moda la pizza con, al posto di pomodoro e mozzarella, il gormeh sabzi, un piatto tipico della cucina persiana. E forse un giorno non troppo lontano anche la democrazia troverà un modo per contagiare l'Iran.

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