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Nuove defezioni, l'ira di Fini: potere mediatico e finanziario del premier - Il ritratto di Viespoli - Foto

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2011 alle ore 07:37.

Futuro e libertà continua a perdere pezzi e Silvio Berlusconi recupera un po' d'ossigeno. «È quel che si merita» commenta, tornando ad assaporare l'idea di portare la sua gente in piazza, magari a San Giovanni. Dopo il senatore Menardi, ieri ad abbandonare Fli è stato Francesco Pontone che ha annunciato il suo rientro nel Pdl. Lo stesso alla Camera ha fatto Roberto Rosso dopo una visita a Palazzo Grazioli. Gianfranco Fini però è irremovibile, non media anzi contrattacca.

Il leader di Fli ammette che questa per il suo partito è la fase più «negativa», da quando a Mirabello ha mosso i primi passi, ma non intende tornare indietro né sull'organigramma, il tandem Bocchino-Della Vedova deciso domenica sera dopo il congresso, né sulla linea politica, stabile nel centro-destra ma rigorosamente alternativa al Pdl di Silvio Berlusconi. Chi non ci sta si accomodi pure fuori: questo è il messaggio che invia dalle colonne del Secolo di oggi. Ed è un messaggio durissimo senza mediazioni. Fini è consapevole che il terremoto dentro Fli è un'occasione imperdibile per il premier di allargare la sua «fragile maggioranza».

Un'ipotesi «verosimile», sottolinea, visto «il potere mediatico e finanziario» di cui dispone chi governa. Affermazione che fa insorgere il Pdl ma che è condivisa dal leader dell'Udc e suo alleato Pierferdinando Casini. La spaccatura interna a Fli e parallelamente «la ritrovata baldanza dei gerarchi del Pdl» altro non sono per Fini che fenomeni tutti interni al ceto politico, al Palazzo. È con gli elettori nelle urne e non con gli eletti che si dice pronto a fare i conti. È alla società «preoccupata» per la situazione economica, «indignata» per il degrado morale, «sbigottita» per l'immagine dell'Italia, che Fli è chiamato a dare una risposta. «Ci riconosciamo e intendiamo agire» nell'ambito del centrodestra «senza alcuna ambiguità né tantomeno derive sistrorse», con gli stessi valori ribaditi domenica a Milano tra gli applausi anche dei «dissidenti del giorno dopo». Quei dissidenti pronti ora a fare armi e bagagli.

Alcuni hanno già imboccato la via d'uscita. Al Senato dopo l'addio di Menardi è stato il turno di Francesco Pontone. Il gruppo non c'è più (anche se le dimissioni non sono state ancora formalizzate) e gli 8 che ancora ne fanno parte decideranno il "che fare" martedì. Una riunione che in casa Pdl sono convinti sarà «proficua». Ieri Menardi ha annunciato dai microfoni di Radio 24 che ne usciranno almeno «altri 4, 5 se non 6». Tra questi – sostiene l'ex senatore di Fli – ci sarebbero anche Mario Baldassarri (decisivo in commissione bicamerale per il federalismo) e Maurizio Saia, che però smentiscono rinviando tutto a martedì. Dal numero degli ex finiani dipenderà anche la strategia della maggioranza. Ieri è nato il gruppo «per le autonomie» guidato dalla Svp che lascia così quello costituito assieme all'Udc. Ma se i transfughi di Fli saranno almeno sei potrebbe venire alla luce un altro gruppo grazie ad alcuni senatori in prestito dal Pdl.

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Tags Correlati: Camera dei deputati | Gianfranco Fini | Governo | Italia | Luca Barbareschi | Maurizio Saia | Paolo Guzzanti | PDL | Pierferdinando Casini | Radio24 | Senato | Silvio Berlusconi | Svp | Udc | Umberto Bossi

 

Gli occhi però come al solito sono puntati soprattutto sulla Camera. Dopo Luca Barbareschi ieri ha annunciato l'abbandono di Fli Roberto Rosso, che poco prima aveva incontrato a Palazzo Grazioli il premier. Senza contare che in aiuto della maggioranza è tornato anche Paolo Guzzanti, l'autore di mignottocrazia, che uscì polemicamente dal Pdl e che ora ha annunciato di voler entrare nei Responsabili.

«Fini ha fatto un miracolo, ci ha salvati anche stavolta...», ironizzava ieri un dirigente del Pdl. Ed è quello che pensa Berlusconi. Il premier è galvanizzato, torna a pensare a una grande manifestazione di piazza (da far coincidere con l'apertura della campagna elettorale per le amministrative) e si prepara a presentare la riforma della giustizia, che potrebbe già oggi arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri. Le affermazioni di Fini, quell'esplicito riferimento alla compravendita dei parlamentari, viene derubricato come lo sfogo di «un disperato». E in effetti lo smottamento dei futuristi aiuta non poco Berlusconi che può così garantire a Umberto Bossi quei numeri che la Lega ritiene indispensabili per governare e non limitarsi a galleggiare. «Questo è un buon segno per la maggioranza», confermava ieri il Senatur.

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