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Questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2011 alle ore 06:38.
BERLINO - Prima di tutto il metodo: la scelta del successore di Jean-Claude Trichet alla presidenza della Bce non può essere assunta mettendo in campo pregiudizi «favorevoli o sfavorevoli sulla base della nazionalità di provenienza del candidato». In sostanza, nella corsa che si è aperta dopo la rinuncia del dimissionario numero uno della Bundesbank, Axel Weber, la scelta dovrà essere compiuta sulla base di un unico criterio: quello della competenza. E Mario Draghi ha i numeri per occupare dal prossimo ottobre la poltrona di numero uno dell'Eurotower a Francoforte.
Giorgio Napolitano ne parla al termine del colloquio con il presidente tedesco Christian Wulff. Argomento che ha costituito anche oggetto di un rapido scambio di opinioni con il cancelliere Angela Merkel. «Poco più di una battuta», spiegano i collaboratori del presidente. La trattativa è ancora lunga e complessa, e dunque occorre misurare bene parole e azioni. Non emergono niet pregiudiziali e lo stesso Wulff ha convenuto sulla scelta del metodo suggerita da Napolitano. Dal canto suo, il presidente della Repubblica con gli interlocutori tedeschi non ha mancato di porre sul tappeto il prestigio internazionale del candidato italiano in qualità di presidente del Financial stability board. «Siamo convinti che il governatore Draghi sia un uomo di grande qualità per competenza e rigore».
Con l'uscita di scena di Weber, la Germania non pare al momento di disporre del resto di candidati credibili. D'altro canto, se si seguissero indicazioni di pura e semplice spartizione geopolitica, si dovrebbe optare per un candidato del nord Europa, poiché il vice presidente della Bce, Vítor Manuel Ribeiro Constâncio è un portoghese e nel board siede l'italiano Lorenzo Bini Smaghi. E così potrebbe spuntarla l'olandese Nout Wellink, che si è autocandidato in un'intervista al Wall Street Journal.
La prudente offensiva diplomatica di Napolitano si ferma qui. Dopo il fallimento di diverse candidature italiane, da Mario Mauro a Massimo D'Alema, occorre procedere con i piedi di piombo. D'altro canto - spiega - questo non è certo compito dei presidenti della Repubblica. Di certo, dopo nomine non proprio di primissimo piano ai vertici europei, è forse il tempo di far valere appunto la competenza e il prestigio internazionale nelle poltrone che contano. È la replica ad alcuni articoli apparsi sulla stampa tedesca, da ultimo il quotidiano popolare Bild. Si registra peraltro la posizione di Joseph Ackermann, presidente di Deutsche Bank, favorevole alla candidadura di Draghi, giudicata «eccellente. Guardo con favore anche a quella di Erkki Liikanen».