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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2011 alle ore 09:25.
L'ultima modifica è del 02 marzo 2011 alle ore 09:20.

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Stagflazione: a volte ritorna (Ansa)Stagflazione: a volte ritorna (Ansa)

Il balzo del prezzo del petrolio, delle commodities e dei prodotti alimentari ha riacceso i timori di una stagflazione stile anni 70: inflazione da shock di offerta e recessione. I motivi per cui questi timori sono probabilmente esagerati sono noti: rispetto ad allora, il mondo occidentale consuma circa la metà del petrolio per dollaro di Pil; gli effetti sull'inflazione "core" (quella maggiormente monitorata dalle banche centrali) sono probabilmente limitati; e i problemi seri sono per ora confinati a produttori di petrolio marginali. Per motivi analoghi, e a meno di un'escalation militare imprevedibile, i rischi posti alla ripresa mondiale dagli eventi in Nordafrica sembrano bassi.


I rischi di inflazione potrebbero venire invece da una fonte di cui pochi oggi parlano: la politica monetaria. Di fronte alla crisi finanziaria del 2009, una crisi in parte di liquidità, la Fed ha prestato a breve a banche e altre istituzioni finanziarie e ha comprato attività del settore privato. Per finanziare l'aumento degli attivi, una banca centrale ha il privilegio di creare le proprie passività, cioè base monetaria. Si dice spesso che per fare ciò la Fed "stampa moneta", in realtà ai nostri tempi essa più frequentemente paga le attività acquistate accreditando con un tasto del computer le riserve delle banche presso la banca centrale stessa. In entrambi i casi, la base monetaria aumenta.


Fino a poco più di un anno fa la Fed però "sterilizzava" questo aumento del suo attivo vendendo titoli di stato in suo possesso, che le banche pagavano con le riserve appena ricevute. Risultato: cambiava la composizione dell'attivo della Fed (meno titoli di stato, più titoli privati), ma non il loro totale, né il totale delle riserve bancarie; dunque non cambiava neanche la base monetaria. Di fronte alla perdurante stagnazione dell'economia, per ridurre i tassi a lunga la Fed di recente ha però ulteriormente incrementato l'acquisto di titoli privati, e nel contempo ha smesso di sterilizzarli: ogni dollaro di titoli acquistati si riflette quindi in un dollaro di aumento delle riserve bancarie, e della base monetaria. Quest'ultima è praticamente raddoppiata nell'ultimo anno.


Nel giugno 2009 Ben Bernanke andò al programma televisivo "60 minutes" e disse che di fatto la Fed stava stampando moneta. Nel dicembre 2010, tornato allo stesso programma, disse che la massa monetaria non era aumentata. Qualcuno rimase disorientato, e il comico televisivo Jon Stewart prese spunto per una famosa parodia. Ma era veramente un errore pacchiano di Bernanke?


Normalmente, quando le riserve bancarie presso la Fed aumentano, le banche le prestano alle imprese; queste ridepositano parte dei prestiti ricevuti presso il sistema bancario, che può fare ulteriori prestiti. Dal dollaro di riserve iniziale si creano molti dollari di depositi e di prestiti, quindi di moneta: il famoso moltiplicatore monetario.


Senonché, le banche si sono dimostrate più riluttanti del solito a prestare le riserve extra: in parte perché avverse al rischio, in parte perché ancora sottocapitalizzate, in parte perché la Fed ha cominciato a remunerare le riserve. Dunque Bernanke aveva ragione entrambe le volte: la base monetaria (la moneta della banca centrale) è raddoppiata, ma la massa monetaria non si è quasi mossa. Da questo punto di vista, quindi, i rischi di inflazione sono bassi. Ma cosa succede se le banche decidono di usare le riserve extra accumulate presso la Fed? È questa la domanda da un milione di dollari. Per alcuni la risposta è: niente. Anche se dovessero aumentare i crediti alle imprese, e quindi la massa monetaria, la relazione statistica tra quest'ultima e l'inflazione è da anni praticamente nulla. Per altri la risposta non è così ovvia, in parte perché dal dopoguerra non c'è mai stata una espansione così drammatica delle passività della Fed.


Bernanke ha sempre detto che, al momento buono, la Fed non deve far altro che ridurre le proprie passività vendendo le attività accumulate. Il problema è come riconoscere quando arriva il momento. Troppo presto, e si uccide la ripresa; troppo tardi, e la Fed perde credibilità come bastione contro l'inflazione, e diventa costoso bloccare la spirale delle aspettative di inflazione. Come ha sostenuto la ex presidente del Council of Economic Advisors di Obama, Christina Romer, gli economisti teorici forse sono troppo fissati con le aspettative, e temono erroneamente che queste da sole possano generare inflazione. Empiricamente, invece, le due determinanti principali dell'inflazione sono le condizioni del mercato del lavoro e l'inflazione passata. Dunque non ci sarebbero rischi di inflazione, perché la disoccupazione è ancora alta. Per altri questo è esattamente il motivo per cui la politica attuale della Fed potrebbe essere pericolosa a lungo andare: la Fed potrebbe essere restia a sgonfiare la base monetaria proprio per evitare riflessi negativi su un mercato del lavoro ancora asfittico. Come per la politica fiscale, così la politica monetaria di questi ultimi anni è un territorio in gran parte inesplorato. I paradigmi del passato potrebbero non valere più, ma nessuno sa cosa aspettarsi tra qualche anno dalle politiche attuali.

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