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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2011 alle ore 08:26.
L'ultima modifica è del 07 marzo 2011 alle ore 06:43.

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Sono i numeri a dire quanto sia inevitabile una riflessione sullo stato di salute del contenzioso tributario e, quindi, sulle riforme possibili per migliorarne l'efficienza e l'efficacia. Seicentomila cause pendenti nel primo grado, le commissioni tributarie provinciali; quasi 110mila nel secondo grado affidato alle commissioni regionali. Tempi medi di definizione dei processi che – per i tre gradi, fino all'"imbuto" della Cassazione – arrivano a superare gli 8 anni (oltre 4 anni nei due primi gradi di giudizio).

E poi ancora: organici in sofferenza e una presenza di giudici togati che non arriva neppure al 25% del totale (oltre tre giudici su quattro vengono dal mondo delle professioni). Intanto, le commissioni tributarie sono chiamate a decidere su questioni sempre più complesse e "pesanti", anche sotto il profilo economico. In una lite su cinque sono in ballo importi superiori a 100mila euro; in una su dieci oltrepassa i 250mila euro, in crescita rispetto al passato.
Una fotografia impietosa, non c'è che dire. Certo, non la fotografia di un disastro assoluto, come nel processo civile, perché – questo va riconosciuto – la riforma attuata nei primi anni '90 ha dato buoni risultati. Non un'emergenza, quindi, ma la rappresentazione di un malessere, di una possibile malattia che, come tale, è meglio curare ora, prima che sia troppo tardi.
È, quindi, positivo che sia il ministero dell'Economia sia il Parlamento (impegnato in una serie di audizioni con soggetti-protagonisti del processo tributario) siano consapevoli di questa situazione. Non tutti condividono la necessità di arrivare alla definizione di un percorso destinato a ridisegnare completamente l'intero ordinamento del contenzioso. Ma è indubbio che qualche intervento sia necessario e, probabilmente, auspicabile. Tanto più in questa fase, nella quale si comincia a lavorare a una riforma complessiva del sistema fiscale, che – senza un aggancio al contenzioso – rischierebbe forse di nascere zoppa.
Che fare, allora? L'ipotesi allo studio del ministero dell'Economia – che già nei prossimi giorni potrebbe essere formalizzata in un progetto normativo – è decisamente radicale e prevede tre grandi novità: l'introduzione di una forma obbligatoria di conciliazione affidata a organismi indipendenti; la riduzione dei gradi di giudizio dagli attuali tre a due; l'utilizzo nel processo tributario di soli giudici togati (cosa non semplice vista l'impossibilità di creare nuove specializzazioni).

Molte opzioni sono, naturalmente, ancora aperte. Per ora, la voglia di innovazione sembra essere sovrastata dalla cautela, quando non dallo scetticismo, specie (ma non solo) per la fase conciliatoria. Perplessità condivisibili, perché la mediazione – che non richiederebbe l'obbligo di difesa – potrebbe porre il contribuente in posizione di inferiorità di fronte all'amministrazione. E questo è un punto sul quale non sono ammessi cedimenti: conta arrivare a un sistema più efficiente, ma conta soprattutto che la tutela dei contribuenti sia garantita sul presupposto di un'assoluta parità di chance con la parte pubblica, l'amministrazione fiscale. Una premessa indispensabile per evitare il rischio di mortificare ancor di più quello che oggi – sicuramente a torto – è considerato da molti un processo di "serie B".

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