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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2011 alle ore 08:46.
L'ultima modifica è del 09 marzo 2011 alle ore 06:44.

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La crisi non fa differenza tra le imprese e gli studi professionali e si fa sentire da tutti, in egual misura. Eppure la sorte dei dipendenti finiti in mobilità, nel welfare italiano a macchia di leopardo, si misura con pesi diversi: l'indennità di mobilità per i lavoratori non è mai stata in discussione per l'imprenditore, mentre il centro per l'impiego ha sempre respinto i professionisti che chiedevano lo stesso trattamento per chi li assiste negli studi. Almeno sinora.

Ieri, infatti, il ministero del Lavoro ha chiarito – rispondendo a un interpello presentato proprio dai professionisti-datori di lavoro – che anche a segretarie, collaboratori, tecnici e assistenti alla poltrona, che lavorano alle dipendenze di avvocati, commercialisti, medici o ingegneri, va esteso il diritto a essere iscritti nelle liste di mobilità. Esattamente come per tutti i lavoratori delle Pmi. Dovessero essere riassunti, l'ex impiegata dell'artigiano e quella dell'avvocato porteranno in dote al nuovo datore gli stessi sconti fiscali.
A due anni dalla disposizione che li ha fatti salire sulla "scialuppa" degli ammortizzatori sociali in deroga, è certamente un passo avanti che rende un po' meno diseguali tra loro i dipendenti italiani. Aprendo anche a quelli degli studi – sulla base dei requisiti di anzianità professionale validi per tutti e della disponibilità ad accettare subito un nuovo lavoro o un percorso formativo – il portafoglio dell'indennità di mobilità.

Soddisfatti i sindacati e i professionisti-datori di lavoro «per un atto di giustizia», dicono, che però si realizza soprattutto grazie alla Corte di Giustizia Ue. Sono stati infatti i giudici di Lussemburgo, già nel 2003, a estendere la nozione di datore di lavoro, affermando che la direttiva 98/59/Ce si applica ai licenziamenti collettivi, senza distinzioni.
L'Europa ha dato così una mano ai dipendenti licenziati degli studi; la crisi rischia di rendere le libere professioni italiane sempre più «imprese».

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