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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2011 alle ore 09:05.
L'ultima modifica è del 11 marzo 2011 alle ore 09:02.

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La «Fisco Spa» regge alla spallata della crisi meglio dei suoi contribuenti: i dati sulle dichiarazioni presentate nel 2010 – riferite ai redditi dell'anno precedente – confermano con brutalità statistica la cattiva salute dell'economia italiana coinvolta nei rovesci globali. Ma, al tempo stesso, segnalano che le casse dello stato hanno sofferto meno di quanto si temesse, soprattutto per lo sforzo di contrastare l'evasione e di recuperare l'imposta smarrita nell'utilizzo troppo disinvolto degli sconti fiscali. Complessivamente, il gettito Irpef ha tenuto (+0,2%). È questa è la notizia più importante.

Per capirne la rilevanza, ripartiamo dalla crisi: tra i dati che Il Sole 24 Ore anticipa, spiccano l'aumento dei contribuenti che vanno a posizionarsi nella fascia del reddito negativo e la diminuzione di quelli con redditi elevati. E il reddito medio delle imprese cala, come valore medio, del 20% se si guarda a chi opera in contabilità ordinaria e del 9% per chi – presumibilmente di minori dimensioni – sta in contabilità semplificata. E ancora, sempre sulla stessa sgradita nota della recessione: aumentano le partite Iva, tra i giovani e tra chi è stato espulso dai ranghi del lavoro dipendente; aumentano significativamente i minimi, cioè coloro che sanno, ancora prima che l'esercizio cominci, di non poter contare su alti fatturati.
Tutti segnali prevedibili, in un anno che ha visto una contrazione del Pil, in termini reali, di oltre il 5 per cento. E prevedibile era quindi un rallentamento del gettito: è difficile che si paghino più tasse quando i guadagni diminuiscono.
Vanno poi considerate le condizioni di partenza del nostro sistema tributario, gravato dall'handicap dell'evasione, pronta a farsi più agguerrita in tempi di crisi.

Qui il quadro d'insieme non pare migliorato. Dal punto di vista dei redditi medi, l'anno 2009 è rimasto vicino ai valori dell'anno precedente, ma con i noti divari e le abituali dissonanze tra categorie. C'è un distacco enorme tra l'Irpef media pagata al Nord e quella versata al Sud; più di un quarto dell'imposta continua a essere garantita dal 3% dei contribuenti, nemmeno un milione di happy few che si collocano oltre i 70mila euro di reddito annuo e che sono in maggioranza lavoratori dipendenti.

Eppure, a guardare più in dettaglio, qualche conforto si trova. L'attività genericamente classificata come recupero dell'evasione fiscale aumenta di un terzo, gli accertamenti puntuali («sintetici», nel gergo del fisco) sulle difformità tra reddito dichiarato e tenore di vita sono quasi raddoppiati. E se, tra i lavoratori autonomi, si guarda solo a chi ha chiuso in attivo, si trova il reddito medio più alto in assoluto, oltre i 42mila euro.

Piccoli cedimenti nella cortina dell'infedeltà fiscale? Voglia di compliance innescata dalla prospettiva di controlli più stringenti? O solo maggiore efficacia della macchina amministrativa? Probabilmente, la risposta giusta è una combinazione tra le diverse ipotesi, ed è impossibile dire con quali percentuali. Sappiamo che buona parte dell'imposta recuperata è venuta da controlli automatizzati; sappiamo che arrivano ulteriori strette nelle verifiche, con l'avanzata del redditometro e l'imminente debutto dello «spesometro» (ne riferiamo a pagina 31). Misure che affilano ancora di più le armi del fisco e che, oltre a ridurre gli spazi per l'evasione, limitano anche le possibilità di difesa per il contribuente. À la guerre comme à la guerre, potrebbe a buon diritto sostenere l'amministrazione. Sempre che tanto dispiego di mezzi e di deterrenza non finisca per ottenere l'effetto contrario: dando nuovi motivi al sommerso e al nero e alimentandone la già fervida fantasia. E questa sarà la sfida delle dichiarazioni che verranno.

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