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Questo articolo è stato pubblicato il 12 marzo 2011 alle ore 09:30.

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«I palazzi oscillavano come canne al vento». Il racconto dell'inviato del Sole a Tokyo«I palazzi oscillavano come canne al vento». Il racconto dell'inviato del Sole a Tokyo

I palazzi di Tokyo alle ore 14.46 di una bella giornata primaverile oscillano come canne al vento: destra-sinistra, sinistra-destra e poi – o forse è un'illusione ottica – un po' in avanti. Anche il pavimento diventa una altalena per un minuto che sembra un'eternità. Dopo una pausa, rollio e beccheggio riprendono per altri interminabili secondi che lasciano nausea in gola. La gente esce in strada senza gridare, senza correre. Guarda all'insù più con stupore che con paura, sintomo di fiducia nelle normative che fissano rigorosi criteri antisismici nelle costruzioni. Pare persino compiacersi che i grattacieli più nuovi e più alti restino intatti (o così pare dal basso).

Un altoparlante piazzato chissà dove informa sull'ovvio e consiglia con cortesia: «In questo momento c'è un terremoto. State calmi. Per favore spegnete i fuochi». Furono soprattutto gli incendi a cancellare Tokyo il primo settembre 1923, nel Grande Terremoto del Kanto che provocò 140mila morti: da allora il fuoco incute più timore dei tremori della terra, ai quali da queste parti si è fatta l'abitudine. A memoria d'uomo, però – salvo per chi si sia trovato a Kobe il 17 gennaio 1995 – mai come ieri il terremoto è stato tanto violento nell'evocare la fragilità di una città che solo il giorno prima aveva commemorato la sua ultima distruzione: i 100mila morti provocati dai bombardieri americani decollati da Saipan il 9 e 10 marzo 1945.

Questa volta i morti non ci sono in città, o almeno non se ne ha notizia. In coma è finita una persona, tra 30 feriti, che presenziava a una cerimonia di laurea nell'unico edificio in zona centrale che non ha retto agli scossoni: la storica Kudan Kaikan, il palazzo degli anni Trenta che fu il quartier generale del golpe militare del 1936 e che ogni anno ospita a febbraio il rally popolare contro la Russia per chiedere la restituzione delle isole Kurili meridionali.
Il via vai della ambulanze fuori dalla Kudan Kaikan fa pensare: chissà se e quando riaprirà questo tempio laico di celebrazioni venate di nazionalismo estremista, come quella recente che ha celebrato sul suo palcoscenico il quarantesimo anniversario dello spettacolare suicidio dello scrittore Yukio Mishima.

Per le strade adiacenti, è palpabile che il maggiore sconcerto finisca per essere suscitato dal mutismo dei telefonini: la rete mobile è andata in tilt e questo è più inconcepibile della danza della terra. Qualche sms riesce a passare, poi anche la messaggistica si blocca: nel paese dei cellulari più sofisticati si rivedono lunghe e ordinatissime code alle cabine telefoniche, non distante dai crocicchi che si creano davanti agli schermi tv dentro a qualche vetrina, con le immagini dei disastri provocati dallo tsunami sulla costa settentrionale.

Il traffico di auto e bus, intanto, riprende meno di un minuto dopo ogni forte scossa di assestamento: se ne conteranno a decine fino a tarda serata. «Affari d'oro per i tassisti» sospira Sayuri Shirata, impiegata che deve raggiungere l'estrema periferia, seccata alla prospettiva di dover pagare una piccola fortuna. La metropolitana è bloccata e sulla sopraelevata della circolare Yamanote i treni verdi della Jr sono fermi. Fa impressione vederli sovrastati - nella linea che corre parallela - dal muso allungato di uno statico Shinkansen, il treno superveloce che mai nessuno ha visto dormire lungo il percorso cittadino.
Alla tv compare un burocrate che invita la popolazione a non affannarsi a cercare di tornare a casa: aspettate negli uffici, al limite dormirete lì (solo in tarda serata qualche linea metropolitana riaprirà in modo parziale). Il consiglio è seguito: salendo a piedi ai piani superiori dei palazzi (visto che tutti gli ascensori sono bloccati, ovunque), si vede un sacco di gente, spesso tornata alla normale attività. «Non siamo mai scesi in strada - afferma Tomoko Yokoyama, impiegata di un ufficio al 14° piano - l'altoparlante ci ha detto che era più sicuro restare qui, anche se per molti minuti siamo rimaste sotto la scrivania». Al 20° piano, la bibliotecaria Kanako Nakayama guarda sconsolata il panorama: «Su diecimila libri della nostra biblioteca, almeno 5mila sono caduti a terra. Vari scaffali si sono rovesciati completamente». Paura? «Abbastanza. Ho dovuto aggrapparmi alla mensola per non cadere. Le scosse sono durate un'eternità. Mai sperimentata una cosa simile, neanche nel terremoto di trent'anni fa nella mia città, vicino ad Aomori», risponde, subito sovrastata da una preoccupazione di tipo professionale: «Ci vorrà almeno una settimana per rimettere le cose a posto e offrire il normale servizio».

Una massa di persone si è invece riversata nelle hall dei grandi alberghi. Il grande atrio dello storico cinque stelle Imperial Hotel si trasforma in un bivacco, sia pure ordinato e senza nessuno che si agiti o alzi la voce. Il personale ha provveduto ad allineare un centinaio di sedie, ma non bastano: molti si sdraiano sulla moquette. Bicchieri d'acqua sono offerti a tutti, mentre fuori dalla porta girevole la coda si allunga in modo inverosimile davanti al posteggio dei taxi desolatamente vuoto.

In periferia, la Yokohama Arena e lo stadio di Saitama, teatro dei mondiali di calcio del 2002, sono stati aperti come rifugio temporaneo per chi non riesca a tornare a casa. Se la 52enne Tokyo Tower - una replica qualche metro più alta della torre Eiffel - risulta «leggermente danneggiata» (secondo quanto riferito dalla società di gestione), la nuovissima Sky Tree - che nei giorni scorsi ha superato i 600 metri, sui 634 previsti - non ha subito conseguenze, come nessuno dei 500 lavoratori impegnati nella fase finale di costruzione.

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