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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2011 alle ore 10:27.

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GheddafiGheddafi

La Libia è una enorme torta ricoperta di sabbia. Con il ripieno di petrolio. E' al nono posto, tra i paesi produttori, per le riserve accertate e non ancora sfruttate di greggio e gas naturale. Un mare di ricchezza che è lì in attesa solo di essere estratta. Basta scavare e si trova oro nero. E' sufficiente questo per capire perché in questi ultimi anni, in tempi di crisi economica globale, i "grandi" della terra sono tornati a Tripoli bel suol d'amore richiamati dai petrodollari e dagli appalti facili.

Una rete da 120 miliardi di dollari
E Muhammar Gheddafi è tornato ad essere un amico dell'Occidente, un amico bizzarro, strambo quanto vi pare, il "re dei re africani", ma da tenere buono, perché ha le tasche piene. E' incredibile come si è ramificato in questi anni il suo impero in occidente.
Gli affari sono affari. E, come già argutamente sentenziavano gli antichi romani, pecunia non olet, i soldi non puzzano. A tracciare la strada della strategia di investimento dei libici dopo la fine dell'embargo nel 2008 è stato Farhat Bengdara, governatore della Banca centrale libica qualche tempo fa in un'intervista alla Associated Press. La Libyan investment authority (Lia), fondo sovrano nato dalle ceneri della vecchia Banca Lafico appena fondato tre anni fa aveva una dote da spendere di 65 miliardi di dollari (qualcuno parla di 100 miliardi). «Puntiamo ad acquisire - aveva detto allora il banchiere centrale - non una grande quota in una singola società, ma tante piccole quote azionarie in differenti settori attraverso i mercati finanziari. Nel complesso ci compreremo il 3% delle azioni quotate sui mercati finanziari mondiali». Il fondo sovrano libico guardava ai mercati europei, americani, asiatici e a quelli dei paesi emergenti. A settori immuni dalla crisi come farmaceutica, utility, telecomunicazioni, società petrolifere e agroalimentari.

Investimenti per fare soldi e per condizionare, quando ce n'è bisogno, le scelte politiche. Un esempio? La Svizzera. Il 15 luglio 2008 – ricorderete - in un albergo di Ginevra furono arrestati Hannibal Gheddafi, il figlio del colonnello, e la moglie incinta, dopo la denuncia per maltrattamenti di due domestici. La reazione dei suscettibilissimi libici ebbe il sapore di una ritorsione: furono sospesi i rapporti diplomatici ed economici. Tripoli ordinò la chiusura degli uffici di multinazionali svizzere, come Nestlé e Abb. Arrestò i lavoratori svizzeri presenti nel paese "per infrazione della legge sull'immigrazione". E - arma più potente - ritirò dai sicuri forzieri delle banche elvetiche depositi per 7 miliardi di euro (chissà dove sono ora).

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