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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 13:45.
Nessun fuoco pirotecnico come pure ci si sarebbe aspettato dopo il mancato rimpasto di ieri e il lungo colloquio tra il diretto interessato assai piccato per il rinvio e Silvio Berlusconi. Ma il ministro in pectore dell'Agricoltura Saverio Romano (leggi il ritratto)un messaggio chiaro al premier l'ha comunque inviato. Seppure con tono felpato e senza gesti di rottura perché «da noi responsabili imboscate al governo non ne verrano mai». Così la conferenza stampa, convocata stamane alla Camera e cominciata con venti minuti di ritardo, offre al leader dei Popolari di Italia domani, l'occasione per ribadire le richieste della pattuglia, neo puntello della maggioranza: serve prima «un accordo politico» con i responsabili e poi si potrà procedere al rimpasto.
La mia nomina ora un danno per noi e Berlusconi
In cosa consista questo accordo l'ex ras dell'Udc in Sicilia lo spiega senza troppi giri di parole. «Quello che non dovrà più accadere è che vengano decisi provvedimenti senza una discussione in sede politica tra Pdl, Lega e noi». Dove «sede politica», chiarisce subito dopo, sta per «incontro tra i capigruppo della maggioranza in parlamento», oltre, va da sé, alla partecipazione del plotoncino ai vertici politici. «Possiamo non essere al governo - prosegue Romano - ma certamente vogliamo essere nella sede politica in cui si decide». Una terza gamba della maggioranza organica, insomma, non alla bisogna. E l'ex centrista nega che lui o i suoi compagni di partito siano a caccia di poltrone o si azzuffino tra loro per impedire la sua promozione al ministero dell'Agricoltura. Della quale si dice «lusingato», ma che se arrivasse ora «senza questa premessa politica» «non sarebbe compresa, sarebbe un danno per noi e Berlusconi».
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L'ultimatum sui tempi
Quello stesso premier che fa capolino anche in conferenza stampa attraverso una telefonata al futuro ministro. Lui interrompe la sua arringa, si copre la bocca con la mano e si intrattiene qualche minuto con il Cavaliere che certo deve aver apprezzato il linguaggio morbido dell'ex centrista. Che non morde, non minaccia futuri vietnam parlamentari, ma sui tempi è molto chiaro. «Non sarà una questione di oggi, domani e dopodomani, ma non certo di mesi». Perché, avverte, «tempus regit actum (il tempo regge l'atto, ndr)» e i responsabili devono «passare dalla fase di sostegno al governo a quella in cui l'area della responsabilità diventa organica». E già nei prossimi giorni Berlusconi proverà a sbrogliare la matassa in un incontro con l'intera pattuglia.
La sua difesa: in vita mia mai una contravvenzione o una condanna
Insomma, Romano e i suoi vogliono contare sul serio perché fuori dal palazzo i sondaggi, citati dallo stesso ex Udc, «già danno al suo partito un bacino potenziale del 6%» in una eventuale consultazione elettorale. Quindi il tassello più delicato: quella normina più volte annunciata e rimasta ancora nel cassetto. Romano esclude con nettezza che lo stop sia arrivato per il veto di Napolitano motivato dalle inchieste per mafia a suo carico (due, la seconda delle quali archiviata qualche giorno fa). «Berlusconi non mi ha riferito di perplessità del presidente sul mio nome». Quanto ai sospetti che pendono su di lui, il leader dei Pid si limita a ricordare che «io non ho mai avuto una contravvenzione, un rinvio a giudizio, una condanna». E scomoda anche il suo albero genealogico per garantire che «fino alla settima generazione ci sono persone incensurate che non possono condizionare le scelte». Chissà se basterà a convincere anche il Cavaliere.
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