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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2011 alle ore 08:30.

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Va dove ti porta la panchina: da Grozny a Haiti, il calcio ai tempi delle dittature(Nella foto, l'allenatore del Terek Grozny, l'olandese Ruud Gullit- EPA)Va dove ti porta la panchina: da Grozny a Haiti, il calcio ai tempi delle dittature(Nella foto, l'allenatore del Terek Grozny, l'olandese Ruud Gullit- EPA)

Julio Velasco che è pronto a fare le valigie, destinazione Teheran, per diventare ct della nazionale di pallavolo dell'Iran. Scelta sorprendente e intrigante, quella dell'allenatore italoargentino, ma non originale. Diversi infatti i suoi precedessori che, in nome di lauti ingaggi o desiderosi di nuove esperienze di vita, hanno accettato di sedere su panchine "scomode"o politicamente "bollenti".

Treccine in Cecenia – La scelta più sorprendente, in questa direzione, è arrivata da Ruud Gullit. L'ex asso del Milan e della nazionale olandese, Pallone d'oro e sostenitore della causa di Nelson Mandela, ha accettato di allenare il Terek Grozny, formazione della capitale della Cecenia che milita nella massima divisione russa.

La notizia della firma, un mese fa, è stata data dallo stesso presidente ceceno, Razman Kadirov, discusso protagonista della politica caucasica, accusato da più parti di corruzione e violazione dei diritti umani, che anche attraverso il calcio sta cercando di ricostruire la reputazione sua e di un paese dilaniato da due violente guerre civili a cavallo degli anni Novanta. Kadirov è presidente anche del Terek, fondato nel 1946, poi sciolto a più riprese proprio durante le guerre civili, ma vincitore nel 2004 della coppa nazionale, pur non giocando nella massima serie: un record per il calcio russo. Ancora oggi, durante le trasferte di campionato, le squadre ospiti a Grozny vengono sottoposte a un regime di protezione specifico, causa rischio di attentati. Per Gullit – giramondo anche della panchina, visto che la sua ultima tappa prima di Grozny erano stati i Los Angeles Galaxy di Beckham – contratto di 18 mesi e accoglienza carica di onori, ma esordio sfortunato, con sconfitta contro lo Zenit di Luciano Spalletti.

Tripoli pallonara - "Caro Mister, qui gli ordini li dà lei...", così Muhammar Gheddafi diede il benvenuto al campo di allenamento a Eugenio Bersellini (ex grande allenatore di Torino, Fiorentina e Inter, che portò alla conquista dello scudetto nel 1979-80), appena sbarcato nell'agosto del 1999 a Tripoli dopo lo storico terzo posto ottenuto alla guida della nazionale libica nel torneo panarabo disputatosi in Giordania. Allora la Piazza Verde della capitale, in questi giorni teatro delle proteste anti-Gheddafi, si riempì di folla pronta a festeggiare i suoi eroi pallonari. E dopo un paio di stagioni, Bersellini portò al successo in campionato l'Al-Ittihad, la squadra del dittatore, in cui militava anche quel Al Saad Gheddafi che poi sarebbe stato "protagonista" della nostra Serie A con le maglie di Perugia, Udinese e Sampdoria. «Non era male tecnicamente e tatticamente – ha detto recentemente Bersellini, che prima della rivolta stava ancora lavorando all'apertura di una scuola calcio a Misurata - disciplinato, attento, paragonabile a un buon giocatore italiano di serie D». Giudizio cambiato negli anni, se è vero che ancora nel 2002 il nostro Eugenio – allora ancora in Libia – paragonava l'erede del Colonnello a un certo Ryan Giggs...

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