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Questo articolo è stato pubblicato il 21 marzo 2011 alle ore 16:23.

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Libia, major del petrolio temono la nazionalizzazione (Ft)Libia, major del petrolio temono la nazionalizzazione (Ft)

Le major occidentali del petrolio temono la nazionalizzazione in Libia, in caso di vittoria del regime di Gheddafi. Lo hanno detto al Financial Times alcuni dirigenti delle compagnie petrolifere, che hanno espresso le loro preoccupazioni al quotidiano britannico, a condizione di restare anonimi.

C'è il timore che le compagnie petrolifere siano prese di mira, specialmente se il loro paese partecipa agli attacchi aerei contro Gheddafi. "Abbiamo perso una parte della nostra produzione", afferma un dirigente. " Ma al di là dell'impatto immediato, la nostra preoccupazione più grande è cosa accadrà al lavoro di esplorazione, poiché è quello che dà un futuro".

La maggior parte delle grandi compagnie petrolifere mondiali ha impianti produttivi in Libia. L'Eni è il maggiore investitore singolo. Sono presenti anche la spagnola Repsol, la francese Total, la tedesca Winstershall (della Basf) e l'austriaca Omv.

Con l'escalation delle violenze, il prezzo del greggio è salito a 120 dollari al barile. L'anno scorso più della metà dell'export libico di petrolio è andato a Italia, Germania e Francia.

E sabato Shokri Ghanem, presidente della National Oil Corporation libica, ha avvertito che le compagnie occidentali che hanno rimpatriato il loro staff devono rimandare i loro dipendenti a lavorare in Libia, altrimenti rischiano che le nuove concessioni per gas e petrolio siano assegnate direttamente alle loro rivali di Cina, India e Brasile. I tre paesi sono rimasti neutrali e si sono astenuti al voto della risoluzione Onu 1973.

"L'Italia lavora per mantenere aperte le opzioni in Libia", titola ancora il Ft, sottolineando che al di là dell'esito del conflitto, "la priorità dell'Italia è assicurare che prevarrà come il più importante partner economico della Libia".

"C'è parecchio in gioco", nota il Ft, poiché l'Italia ottiene dalla Libia il 25% del suo import di petrolio e il 10% di quello di gas, oltre ad avere progetti da miliardi di euro per infrastrutture e sicurezza.

Secondo alcuni diplomatici, prosegue il Financial Times, Silvio Berlusconi ha mantenuto un "senso di lealtà" nei confronti del dittatore, cercando di smussare dietro le quinte l'impatto delle sanzioni Ue. Mentre Usa e Uk sono stati rapidi nel congelare gli asset libici, l'Italia se l'è presa comoda, osserva il Ft. D'altra parte, "l'Italia è il centro delle attività finanziarie della Libia in Europa".

Quanto all'Eni, che è il più grande operatore straniero in Libia, "ha continuato a pompare gas per alimentare le centrali energetiche intorno a Tripoli – scrive il Ft - e solo giovedì ha arrestato la produzione di petrolio".

Per influenza e risorse, l'Eni ha il potere di un "ministero ombra", fa notare il Financial Times, ricordando che l'ad della società petrolifera Paolo Scaroni ha detto in Parlamento che le sanzioni sono come "spararsi su un piede".

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