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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2011 alle ore 09:38.

Anche in Yemen il regime sembra vicino alla fine, dopo le defezioni di generali, ambasciatori e tribù che dichiarano il loro sostegno ai manifestanti anti-governativi, assestando il colpo di grazia al presidente Saleh, in carica dal 1978. Saleh ha comunque detto che lascerà il potere solo dopo le elezioni parlamentari del gennaio 2012.
A dimettersi è pure il generale Ali Mohsen che su al-Jazeera annuncia «il sostegno pacifico alla pacifica rivoluzione della gioventù e alle sue richieste» e chiede si garantiscano «sicurezza e stabilità nella capitale». «Reprimere manifestanti pacifici in spazi pubblici nel paese ha portato a un ciclo di crisi che si complica ogni giorno e spinge il paese verso la guerra civile.
Oggi lo Yemen - aggiunge Ali Mohsen - vive una grave crisi come risultato delle pratiche incostituzionali e illegali delle autorità, una politica di marginalizzazione e l'assenza di giustizia».
Sollecitato dall'opposizione da diverse settimane, il generale Ali Mohsen lascia l'incarico e infligge un duro colpo al presidente Saleh, di cui condivide le origini nel villaggio Beit al-Ahmar e l'appartenenza alla stessa tribù. Insensibile alle richieste dei dimostranti, il presidente ha invece dichiarato lo stato di emergenza per 30 giorni, attribuendo maggiori poteri alla polizia, restringendo la libertà di movimento e il diritto di assemblea. Si ostina a rimanere al suo posto, come ha ribadito all'emittente televisiva al-Arabiya. E chiede la mediazione del ministro degli Esteri saudita, senza comprendere che, dopo l'arrivo dei carri armati di Riad in Bahrein, i sauditi godono di pessima stampa nelle piazze arabe.
Queste misure sono forse il colpo di coda di uno dei tanti dittatori mediorientali incapaci di comprendere gli eventi. Quando era salito al potere, nessuno si sarebbe aspettato un presidente tanto longevo. I due presidenti che lo avevano preceduto erano rimasti in carica pochi mesi.
Di umili origini, appartenente a un ramo cadetto della potente confederazione degli Hashid di rito sciita zaidita, Ali Abdallah Saleh ha cambiato la storia dello Yemen, unificando il Nord e il Sud del paese e passando indenne attraverso la guerra civile. Ma rischia di passare al posteri come un uomo corrotto e colpevole di aver scatenato i cecchini sui dimostranti impegnati in una marcia pacifica, uccidendone 52 e ferendo centinaia di persone nella giornata di venerdì, mentre ieri i morti sarebbero una ventina. Secondo una fonte diplomatica, Saleh non sarebbe in grado di decidere da solo. Ad agire dietro le quinte sarebbe il consigliere politico ed ex premier Abd el-Karim al-Iryani, che una decina di giorni fa ha proposto al Congresso nazionale un ruolo maggiore del parlamento e accusato l'opposizione, mentre ieri ha rimpiazzato i ministri dimissionari e poi sciolto il governo, ipotizzando di andare alle urne entro la fine dell'anno. Sono tentativi disperati per restare al potere, senza lasciare il campo libero all'opposizione.
Ma potrebbe essere troppo tardi: la confederazione degli Hashid e parte dell'esercito sono d'accordo su un cambio ai vertici e già si pensa al dopo-Saleh: secondo Jamila Ali Raja, una consulente del ministero degli Esteri passata tra i ranghi dell'opposizione, si sta valutando la possibilità di un consiglio repubblicano composto da quattro persone che rappresentano i diversi partiti politici. Secondo altre fonti si cerca invece consenso attorno a una personalità del Sud, in modo da scongiurare la secessione delle regioni meridionali, insoddisfatte per i mancati investimenti e il conservatorismo imposto dagli ambienti tradizionalisti del Nord.
L'importante è preparare la transizione evitando il vuoto nel momento in cui il presidente desse le dimissioni. O venisse eliminato. Un'opzione da non escludere, che Saleh cerca di scongiurare mettendo in moto la Guardia repubblicana guidata dal figlio Ahmed.
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