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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2011 alle ore 08:32.
L'ultima modifica è del 29 marzo 2011 alle ore 06:38.

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I governatori e i sindaci fanno a gara nel dichiararsi pronti ad accogliere o respingere i migranti di Lampedusa. A tener distanti gli estremi del veneto Zaia («prendiamo solo profughi, assoluta indisponibilità ai clandestini») e del pugliese Vendola («luogo deputato per l'accoglienza») ci sono calcoli politici e ammicchi populisti a elettori molto diversi. Ma se fosse invece l'economia a guidarne le dichiarazioni, entrambi sarebbero più cauti e forse convergerebbero su un giusto mezzo.

L'esito probabile di quanto sta accadendo in questi giorni sulle coste del Mediterraneo è un aumento permanente di nuovi immigrati in cerca di lavoro. Le immagini in presa diretta televisiva di giovani uomini con un sacchetto sulle spalle, che saltano le esili reti di cinta dei campi d'accoglienza per disperdersi nelle campagne non lasciano molti dubbi in merito. Le rigorose misure di rimpatrio non andranno molto oltre il raschiare la pentola. E anche la distinzione tra rifugiati politici e clandestini nel lungo periodo, dal punto di vista del mercato del lavoro, non è di grande rilievo. I primi presto o tardi dovranno lavorare e i secondi in questi frangenti sono quasi impossibili da identificare.
Il conto economico di Zaia e Vendola deve dunque conciliare il costo dell'accoglienza nel breve periodo con le possibilità d'inserire gli immigrati nel mercato del lavoro.

I dati sulla distribuzione geografica della popolazione straniera in Italia ci dicono che le condizioni dei due governatori sono molto diverse. Mentre in Veneto, come in tutte le regioni del Nord e del Centro, la proporzione degli stranieri rispetto alla popolazione residente è di circa il 10%, in Puglia è circa il 2 per cento. Dato che gli immigrati vanno soprattutto dove c'è maggiore possibilità di lavorare, è molto probabile che domani i nuovi arrivati sciameranno verso il Nord del Paese e oltre-frontiera.
Il futuro economico dei rifugiati politici deve dunque essere governato dalla politica migratoria nazionale, con l'obiettivo d'inserire i profughi più rapidamente possibile nel mercato del lavoro, possibilmente in modo equilibrato sul territorio.
Ma la politica migratoria italiana non è adeguata da questo punto di vista. La combinazione tra la restrizione dei flussi in arrivo e amnistie periodiche rende difficile il match tra domanda e offerta di lavoro e fa lievitare il numero dei clandestini, che in Italia sono oltre il 17% della popolazione residente straniera, ben più che in altri Paesi europei. La clandestinità aumenta le tensioni sociali, alimenta l'economia sommersa e favorisce la criminalità. È soprattutto per questa ragione che la forte concentrazione degli immigrati al Nord determina problemi di congestione difficili da risolvere e che a loro volta rafforzano l'appeal politico di misure restrittive.

Gestire i flussi migratori vuol dire in sostanza introdurre strumenti selettivi sui permessi di soggiorno volti a rafforzare l'incontro tra le competenze dei lavoratori stranieri e le richieste del mercato del lavoro e minimizzare i tempi e i numeri dei clandestini.
Che senso ha parlare di selettività di fronte a un'emergenza umanitaria, di fronte a migliaia di persone che chiedono asilo politico e che non possono essere rispedite nel loro paese? Ne ha comunque molto. Se in Italia avessimo in passato riflettuto sugli strumenti necessari a conciliare domanda e offerta di lavoro immigrato, avremmo oggi delle basi informative che ci permetterebbero di trovare più rapidamente e con maggiore efficacia lavoro anche per gli asylum seekers.

Zaia ha tanti immigrati perché sul suo territorio ci sono più imprese che li richiedono di quanto non ce ne siano in Puglia. Ma una politica migratoria più attenta alle esigenze del mercato del lavoro potrebbe favorire una maggiore permanenza dei nuovi migranti in regioni come la Puglia, dove c'è comunque una maggiore possibilità d'inserire lavoratori stranieri di quanto non indichino i dati aggregati dell'Istat.
Il ministro Maroni, giustamente, invoca l'aiuto europeo nella gestione dei rifugiati. Dovrebbe però spingersi oltre a favore di un'armonizzazione delle politiche migratorie nella Unione Europea. Il problema dei rifugiati del Nordafrica non sarà più solo nostro, di Lampedusa, di Vendola o di Zaia, nel momento in cui sarà possibile trasferirli nell'Unione, dove c'è bisogno del loro lavoro, evitando drammatici fenomeni di congestione.

Il ragionamento economico, insomma, ci ricorda che l'emergenza umanitaria si tradurrà presto in un problema di mercato del lavoro che va oltre i confini delle nostre regioni. Ma che allo stesso tempo tutte le regioni, sia al Nord che al Sud, anche nell'emergenza, beneficerebbero moltissimo di una politica europea coordinata che concili domanda e offerta di lavoratori stranieri.

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