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Questo articolo è stato pubblicato il 30 marzo 2011 alle ore 18:45.

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PARIGI – Mentre in Italia si discute se introdurre una tassa patrimoniale, a Parigi il dibattito è inverso: Nicolas Sarkozy punta a eliminare (o almeno a ridurre) l'Isf, l'imposta sul patrimonio, ora incassata sopra la soglia degli 800mila euro. Favorevoli e contrari alla rimozione si affrontano. E tra chi fa resistenza ci sono soprattutto i piccoli imprenditori. Perché, dal 2008, sulla base di una nuova normativa fiscale, fortemente voluta proprio dal presidente, esiste la possibilità di decurtare dall'Isf quanto investito nelle Pmi. Da allora ogni anno circa un miliardo di euro arriva nelle casse di queste aziende: un flusso che ha permesso loro di resistere alla crisi del post 2008, quando le banche non prestavano più fondi alle imprese più piccole, a corto di liquidità.

La regola è la seguente: chi deve pagare la patrimoniale e decide di scommettere finanziariamente in un'azienda con meno di 250 dipendenti, può sottrarre dall'imposta il 75% dell'investimento (fino a un massimo di 45mila euro). Questa, almeno, era la regola iniziale. Per il 2010 già la percentuale si è ridotta al 50 per cento. Ma ora che l'Isf è in forse, cosa succederà? Nel caso l'imposta venga eliminata, salterà anche lo sgravio. E, assieme, il miliardo di euro di investimenti alle Pmi. Se si ridurrà l'Isf (tra le ipotesi allo studio, la possibilità di aumentare la soglia per l'applicazione della tassa a un patrimonio di 1,3 miliardi di euro, con aliquote comunque più ridotte), quel flusso si assottiglierà.

Bernard Cohen-Haddad, presidente della commissione del finanziamento delle aziende della Cgpme, la confederazione delle piccole e medie imprese francesi, ha tirato il campanello d'allarme. «Bisognerà trovare una soluzione – ha sottolineato -. Non è che ci vogliamo fissare sul mantenimento dell'Isf. Ma bisognerà rafforzare altri meccanismi fiscali che incitano i finanziamenti nelle Pmi». Ne esiste in effetti un altro, il «dispositivo Madelin», che prevede di ridurre l'imposta sul reddito delle persone fisiche nel caso di investimenti nelle piccole e medie imprese fino al 22% della somma totale, con un tetto di 50mila euro per un celibe e di 100mila euro per una coppia. Ebbene, il Governo francese sta pensando di aumentare la quota, forse fino al 35 per cento.

Intanto, in parallelo, ci si chiede se le Pmi abbiano veramente bisogno di queste iniezioni di fondi. L'idea ricorrente in Francia è che questo tipo di aziende non abbia la fiducia delle banche. E che Oséo, l'istituto di credito pubblico che finanzia le imprese, non si occupi di quelle più piccole. Le Pmi francesi avrebbero da questo punto di vista più problemi che le colleghe europee, soprattutto tedesche, ma anche italiane. In realtà il rapporto che l'Osservatorio del finanziamento delle aziende presenterà in aprile a Christine Lagarde, ministro dell'Economia, sarebbe meno pessimista. Gérard Rameix, presidente dell'Osservatorio, non vuole svelare ancora i risultati dello studio, ma sottolinea che, «paragonate alle loro colleghe europee, la situazione finanziaria delle Pmi francesi è migliore. E la quota dei fondi propri sul loro bilancio non fa che accrescersi: siamo passati dal 32% del 1996 al 39% del 2009». Secondo Rameix, invece, «è proprio perché il credito bancario si è ridotto durante la crisi che le Pmi hanno aumentato i loro fondi propri. A detrimento degli investimenti».

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