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Questo articolo è stato pubblicato il 06 febbraio 2011 alle ore 14:00.
L'ultima modifica è del 06 febbraio 2011 alle ore 15:24.

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«Patrimoniale: pena di morte per chi ne vuol discutere?»«Patrimoniale: pena di morte per chi ne vuol discutere?»

Vorrei occuparmi d'altro questa volta, e in particolare di Egitto (e non solo), pensando alla conclusione della mia ultima «Lettera» su queste colonne, dove mi chiedevo se la rivoluzione tunisina non fosse l'alba di un nuovo giorno per l'intero mondo arabo. Ma non posso non tornare sull'idea di un'imposta una tantum volta a dare un colpo drastico al debito pubblico, perché devo esporre ai lettori le mie valutazioni sul profluvio di dichiarazioni, articoli, anatemi e scongiuri che si è scatenato attorno ad essa, dopo che proprio io l'avevo avanzata.

La mia prima impressione è stata quella di trovarmi nella stessa situazione del protagonista di una vecchia storiella napoletana. C'era stato un bombardamento che aveva fatto crollare l'intera facciata di un palazzo e dalla strada i vigili del fuoco videro al secondo piano un anziano signore seduto, attonito e perplesso, sulla tazza del bagno. Gli chiesero come si sentiva e quello rispose: «Aggio tirato la catenella dell'acqua e boom...».

Più o meno è quello che è successo a me. Io non ho mai articolato una proposta, tanto meno la proposta di una patrimoniale, ma ho invitato tutti noi a valutare con pragmatico realismo la situazione in cui ci troviamo. Abbiamo un debito molto elevato, siamo per questo in una permanente situazione di pericolo su mercati finanziari sempre più difficili, come minimo rischiamo di veder crescere la nostra spesa per interessi, e per pagarli senza aumentare il debito totale riduciamo tutto il resto senza avere mai margini adeguati per le cose che riteniamo necessarie, come la riduzione dell'Irap o la defiscalizzazione degli investimenti nel Sud oppure il ricambio di un personale pubblico sempre più invecchiato anche nei servizi di ordine e di sicurezza. Valutiamo se ci conviene questa lenta agonia o se non è meglio usare un po' della ricchezza dei più ricchi (in modi e forme su cui non sono mai entrato) per abbassare il debito e recuperare quei margini.

Era una proposta di discussione, ha dato il via, salvo rare voci ispirate dalla ragione, a una kermesse nutrita di aggressività e costruita su stereotipi ideologici branditi al solo scopo di suscitare reazioni spaventate e ostili. Né sono mancati, com'è normale in questa Italia rissosa, il dileggio personale e gli excursus biografici volti a confermare che il vecchio Dracula è ancora malauguratamente fra noi. Certo si è che si è agitato e si continua ad agitare il fantasma di una patrimoniale che nessuno (a prescindere anche da me) ha chiesto di istituire, lo si è fatto come se la cornice non fosse quella del debito che abbiamo addosso, ma come se qualcuno si fosse svegliato una mattina nella florida Svizzera e avesse detto agli svizzeri che voleva portargli via il patrimonio, si è attribuita infine la sollevazione del problema agli incoercibili istinti della sinistra. Mentre dovremmo saperlo tutti che fu la destra di Quintino Sella e di Luigi Menabrea a tassare i neo-italiani per ridurre il debito di allora, che altrettanto fecero gli stati membri della federazione statunitense negli stessi anni e che più di recente fu Margaret Tatchter a volere la famosa poll tax.

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