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Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2011 alle ore 08:20.
L'ultima modifica è del 07 aprile 2011 alle ore 08:40.

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Per tutti coloro che avevano perso la speranza che in Italia si potesse cambiare qualcosa, che il declino fosse inevitabile, che la raccomandazione e l'intrigo valessero più di ogni merito è arrivato un raggio di speranza.
Il ragionier Geronzi, illustre esempio dei mali che affliggono l'Italia, è stato costretto alle dimissioni da presidente di Assicurazioni Generali. La Borsa festeggia con un rialzo del 3% del titolo. Le prospettive del sistema Italia crescono anche di più.

Questa è una grande vittoria della buona corporate governance. Nei suoi undici mesi al comando Geronzi aveva fatto molto male, trasformando una delle più illustri imprese italiane in un caos. Un report di Kepler Capital Markets scriveva «il prezzo delle azioni Generali non dipende dalla qualità delle operazioni o dalla crescita della società (che rimane forte), ma piuttosto dall'imbarazzante corporate governance. La soap opera può essere sintetizzata come segue: il presidente Cesare Geronzi (un manager con esperienza nel settore bancario, ma non in quello delle assicurazioni) continua a disturbare il lavoro di un top management molto capace».

Di fronte ad una tale performance la sfiducia del consiglio era doverosa. Ma tra il dire e il fare c'è di mezzo la qualità del sistema di corporate governance. Anche negli Stati Uniti i consigli di amministrazione sono spesso riluttanti ad agire. Sull'interesse generale, prevale l'interesse personale. I consiglieri sono nominati dal management, con cui nutrano un rapporto di amicizia. E se è difficile licenziare chiunque, è particolarmente difficile licenziare un amico.

C'è anche paura ad esporsi. Se la richiesta di dimissioni fallisce, chi si è schierato contro il management ne paga le conseguenze. In questo senso l'Italia, con i consiglieri di amministrazione nominati dalle minoranze, è all'avanguardia. Questi consiglieri non devono la loro elezione al management, e quindi sono più liberi di votare secondo coscienza. Non a caso, l'opposizione a Geronzi è cominciata da una lettera molto dura dei consiglieri indipendenti eletti dalle minoranze.

Ma questa non è solo una vittoria della buona corporate governance. È una vittoria della parte sana del Paese che si ribella. Un Paese che lavora sodo, rispetta le regole, paga le tasse, e non vede il proprio sforzo riconosciuto ed apprezzato. Anzi lo vede deriso dai furbetti che non seguono le regole e sono premiati con posizioni di potere. Mi piace pensare che la rivolta contro Geronzi sia nata da quel funzionario di Generali che per prima (visto che l'unica categoria in cui le donne sono sovrarappresentate in Italia è quella delle persone oneste che rispettano le regole) si è opposta alla richiesta di Geronzi di comprarsi un iPad a spese di Generali.

Alla fine questa contesa è finita ai massimi livelli, ma laggiù nella gerarchia di Generali qualcuna ha avuto il coraggio di dire no, questo è contro le nostre regole. Un no pericoloso, di fronte a un uomo potente. Un no che rischiava di essere inutile, se, come troppo spesso accade, l'uomo potente aggirava la regola con il consenso di qualche superiore. Ma in quel no coraggioso, c'è l'eroismo di un'Italia che resiste. È a questa Italia che dedichiamo questo giorno di festa. L'Italia che ha il coraggio di dire no.

LA PAROLA CHIAVE
Fixing Nel suo ricordo Carlo Azeglio Ciampi sottolinea come, quando dirigeva il Centro operativo cambi in Banca d'Italia, Cesare Geronzi fosse «abilissimo» nel calibrare le operazioni e arrivare senza eccessivi squilibri all'appuntamento quotidiano con il fixing lira-dollaro «che avveniva di norma intorno alle 13.15». All'epoca di cui parla l'ex governatore il mercato dei cambi, le banche e chiunque dovesse compiere transazioni valutarie aveva bisogno di utilizzare un valore di riferimento ufficiale nelle operazioni in valuta. Il fixing dei cambi, cioè la procedura di formazione di un listino ufficiale delle valute affidata alla Banca d'Italia, è definitivamente scomparso nel 1993, dopo essere stato sospeso quasi un anno in occasione dell'uscita della lira dagli accordi del Sistema monetario europeo. Il fixing è stato abolito formalmente dalla legge 312 approvata nell'agosto '93

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