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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 06:37.

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FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente
Tra euro forte e crisi finanziaria l'eurozona sta attraversando un momento delicatissimo. C'è chi parla di economia strangolata e chi spinge per una rinegoziazione dei debiti sovrani dei Paesi più deboli. Lorenzo Bini Smaghi, 54 anni, membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea, è di tutt'altro avviso. In questa intervista, respinge categoricamente l'ipotesi di eventuali ristrutturazioni debitorie, sminuisce l'apprezzamento della moneta unica sui mercati, e soprattutto lascia prevedere nuovi rialzi del costo del denaro in Europa.
In privato alcuni ministri delle Finanze affermano che una ristrutturazione del debito dei Paesi più fragili è inevitabile. In Grecia, per esempio, il deficit pubblico nel 2010 è stato di oltre il 10% del Pil, rispetto a un obiettivo dell'8 per cento.
La cosa più frustrante nella discussione in corso è la povertà di analisi. Si rischia di prendere decisioni importanti, che avranno un impatto sulla vita di milioni di persone, sulla base di preconcetti ideologici. Una ristrutturazione del debito greco produrrebbe vari effetti, che bisogna considerare con attenzione. Il primo è una perdita per gli investitori internazionali. Nella maggior parte dei casi, questi investitori sono in grado di far fronte a tali perdite. Per molti il ragionamento finisce qui. È sbagliato.
Quali altri effetti vede?
Il prestito straordinario che gli altri Paesi europei hanno dato alla Grecia non verrebbe rimborsato e pertanto i contribuenti di questi Paesi perderebbero svariati miliardi di euro. Sicuramente si rafforzerebbe l'euroscetticismo dell'opinione pubblica che si oppone all'euro e chiederebbe l'uscita dei Paesi più deboli perché non rimborsano i debiti. Ma l'impatto più grave di un fallimento si avrebbe nel Paese che fallisce. Di questo molti si dimenticano, anche nella stessa Grecia.
Più precisamente?
Secondo la nostra analisi una ristrutturazione del debito comporterebbe il fallimento di gran parte del sistema bancario greco, che detiene titoli di quel Paese ed è garantito in gran parte dallo Stato. Le banche greche non avrebbero più accesso al rifinanziamento presso la Bce e dovrebbero ridurre i loro impieghi a famiglie e imprese. Senza dimenticare infine l'impatto sui singoli risparmiatori, fondi pensione e altre istituzioni greche che tengono i loro risparmi in titoli pubblici. L'economia greca sarebbe in ginocchio, con effetti devastanti sulla coesione sociale e la tenuta del sistema democratico di quel Paese. In fin dei conti sta alla Grecia decidere la via da seguire, visto che le conseguenze peggiori saranno su di essa. Ma gli altri Paesi devono evitare di spingerla verso una catastrofe.

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