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Questo articolo è stato pubblicato il 19 aprile 2011 alle ore 08:28.
L'ultima modifica è del 19 aprile 2011 alle ore 08:26.

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Nel 2003 Pietro Ferrero fu uno degli imprenditori italiani che accettarono di farsi intervistare davanti agli studenti della Luiss, per spiegare la loro azienda. Gli studenti conobbero una persona nella quale potevano identificare le proprie aspirazioni.

Da ammirare per la posizione e le capacità, ma anche apparentemente a portata di mano, con la quale condividere una gita in bicicletta.
Scoprirono anche, forse con maggiore sorpresa, che Ferrero era la più multinazionale delle grandissime imprese italiane, sulla base della distribuzione geografica dei dipendenti. Forse transnazionale, se si considerava il fatto che in molti Paesi del mondo i prodotti della casa di Alba erano considerati prodotti domestici, talmente incorporati negli schemi di vita locali da far parte della cultura del luogo.
Da allora la Ferrero è ancora salita in tutte le classifiche: fatturato, quote di mercato, capacità di gestire un sistema complesso e sofisticato di marchi interconnessi ma distinti, risultati economici, reputazione. È un successo che può essere misurato sulle diverse scale relative a ciascuno dei primati raggiunti, ma che probabilmente merita di essere osservato in primo luogo sulla scala manageriale.

Perché indubbiamente Ferrero ha dimostrato nella sua lunga storia una crescente originalità di pensiero manageriale, coronata dal successo di lungo termine. Lo ha fatto fin dalle origini su due piani che ancor oggi risultano determinanti: l'innovazione di prodotto e la distribuzione. Su entrambi la strategia di Ferrero è stata sempre più profonda di quella usuale. All'innovazione di prodotto è stato sempre affiancato il dominio esclusivo dei relativi processi.
All'originalità del sistema distributivo venne affiancato sin dall'inizio il principio del ritiro del prodotto prima del suo invecchiamento, dettato dall'etica del rispetto del consumatore e rivelatosi uno degli elementi vincenti della strategia commerciale. Quest'ultima si è avvalsa in misura crescente della comunicazione, facendo di Ferrero uno dei grandi comunicatori mondiali, capace di interloquire con le culture dei diversi continenti.

La proiezione mondiale non ha cancellato il radicamento locale. Ferrero mantiene in Italia, oltre alla testa dell'azienda, alcune attività che possono essere difese anche grazie a particolari relazioni industriali, come nel caso delle produzioni stagionali. Il rapporto tra azienda e dipendenti è uno dei tradizionali punti di forza del Gruppo, che oggi è al vertice tra i datori di lavoro più ambiti. Un atteggiamento mai ostentato ma costante, che fa del rapporto fra esternalità positive generate dal Gruppo e economie ambientali un elemento competitivo.
Quanto del merito di questa formula vincente va alla gestione familiare? Probabilmente tanto, a cominciare dalla indipendenza dalla schiavitù dei risultati trimestrali e correlata miopia manageriale. La famiglia ha mostrato doti eccezionali, a partire dai fondatori, di abilità, coesione, continuità anche generazionale.

La scomparsa di uno dei due esponenti della generazione al comando è certamente un colpo e aggrava l'onere per il fratello Giovanni. Ma Ferrero, da molti anni, non è più soltanto famiglia.

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