Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 24 aprile 2011 alle ore 15:00.
L'ultima modifica è del 24 aprile 2011 alle ore 15:00.

My24

La diagnosi è fatta. I maiali europei, i Pigs, sono affetti dal morbo di Baumol. Prognosi: dieci anni di stagnazione. Effetti collaterali: molti, fra cui una possibile ristrutturazione del debito. Il morbo, che prende il nome dal famoso economista newyorkese William Baumol che per primo lo descrisse negli anni Sessanta, colpisce quei Paesi che crescono puntando principalmente su settori che hanno una bassa produttività.

Quelli più a rischio sono il turismo, come per Grecia e Spagna, l'edilizia residenziale, come per Irlanda e Spagna, i servizi e il settore pubblico, come per tutti i Pigs. La bassa produttività dovrebbe portare a salari relativamente bassi. In realtà, in un mercato del lavoro sufficientemente mobile, i salari si adeguano a quelli dei settori con maggiore produttività, altrimenti nessuno ci lavorerebbe. Come conseguenza, questi settori dovrebbero naturalmente scomparire per i crescenti costi. Il problema nasce, invece, quando vengono artificialmente tenuti in vita e rimangono sovradimensionati rispetto al resto dell'economia. In questo caso, per sostenere la produzione, attraggono un sempre maggior numero di lavoratori.

Ecco la prima complicazione. Il punto è che crescere tramite settori a bassa produttività che assorbono forza lavoro impoverisce il capitale umano del Paese e lo condanna a una prolungata stagnazione. Così si spiega la prognosi di dieci anni. Settori a bassa produttività richiedono lavoratori poco qualificati che non portano con sé nuova tecnologia o innovazione. Per formare questa forza lavoro, non c'è bisogno di investire in percorsi formativi avanzati né in ricerca.

Quando scoppia una bolla immobiliare, come è successo in Irlanda e Spagna, i nuovi disoccupati faticano a trovare nuova collocazione e la disoccupazione perdura per molto tempo con ulteriori ripercussioni sulla qualità del capitale umano. Si parla di perdita di competitività del Paese. In effetti, come abbiamo detto, il morbo di Baumol comporta costi del lavoro per unità di prodotto elevati, che si riflettono nelle misure di competitività a livello internazionale. Ma il problema è più sottile: non è la competitività dei salari che conta ma quella del capitale umano e del tessuto produttivo.

Non serve comprimere i salari, perché i settori improduttivi non sono aperti alla competizione internazionale, non esportano, non c'è alcuna competitività da guadagnare. La perdita di competitività dipende dall'aver soffocato i settori più produttivi, dall'aver formato capitale umano di bassa qualità che non è per sua natura competitivo e che, per riqualificarsi, richiede tempi lunghi. La riallocazione delle risorse verso settori più produttivi e la riqualificazione del capitale possono durare anche decenni. Non c'è svalutazione del cambio che possa aiutare.

La seconda complicazione riguarda la sostenibilità dei bilanci pubblici. Il lavoro è la base imponibile nelle economie che si sviluppano attorno a settori improduttivi. Per sanare i bilanci bisogna alzare le tasse sul lavoro. Quando invece la crescita è guidata dalla produttività, è la crescita stessa che sana i bilanci. I Pigs non hanno alcuna crescita presente e futura con cui garantire i propri bilanci pubblici proprio perché hanno sovradimensionato le loro economie verso settori a bassa produttività.

L'errore dell'accumulazione dei debiti privati e pubblici è nell'uso improduttivo che se n'è fatto, non tanto nel debito stesso. Oggi è impensabile credere che questi Paesi possano cambiare in tempi brevi la struttura produttiva e ritornare su un sentiero di sostenibilità. Quale lezione trarre per l'Italia e per la crescita. Dobbiamo aggiungere un'altra «I» all'acronimo Pigs? Ci salvano sicuramente la tenuta dei conti pubblici, l'assenza di una bolla significativa nel settore immobiliare, la relativa solidità del sistema bancario.

Ma anche, e soprattutto, il cuore pulsante dell'Italia, fatto dalle tante, seppur piccole, imprese che hanno una vocazione innata verso la competizione internazionale, verso l'innovazione, che ci immunizzano ancora dal morbo. Sebbene la nostra sia una stagnazione più che decennale in termini di crescita e produttività che, dati alla mano, ci rende molto simili al Portogallo, la grande differenza è in un sistema produttivo che nella sua parte migliore è ancora vivace, che crea nuova tecnologia e domanda capitale umano qualificato. Ma per quanto tempo possiamo rimanere immuni? C'è l'urgenza di fare qualcosa.

Quale strategia per la crescita? Non cadere nel morbo di Baumol. Investire in istruzione per formare capitale umano migliore, in ricerca di base e applicata che possa dialogare direttamente con l'impresa. Mettere al centro della politica industriale la competitività internazionale delle imprese, perché solo competendo per la frontiera della produzione si possono compiere i passi più decisi verso l'acquisizione di nuova tecnologia e del miglior capitale umano. Infine, dal momento che non di sola crescita o tecnologia vive l'uomo, bisogna sussidiare quei settori a bassa produttività che sono indispensabili per il vero sviluppo dell'uomo, per non essere schiavi della tecnologia stessa. In fondo, Baumol partiva proprio dall'osservazione che i settori a bassa produttività, lasciati a se stessi, sarebbero spariti dalla scena, compresa l'esecuzione del suo amato quintetto per corno che ha oggi la stessa produttività dei tempi di Mozart.

Shopping24

Dai nostri archivi