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Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2011 alle ore 08:03.
L'ultima modifica è del 29 aprile 2011 alle ore 08:04.

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«Sostanziale pareggio del bilancio nel 2014». Questo è l'obiettivo del Governo come da recente documento di finanza pubblica. Si tratta di un obiettivo realistico? Le aride cifre stanno ai sogni come le punture di spillo ai palloncini.


E le cifre dicono - parola del governatore della Banca d'Italia Mario Draghi - che per raggiungere questo obiettivo stringendo solo la spesa bisognerà ridurre quest'ultima del 7% in termini reali di qui ad allora.
Le aride cifre, tuttavia, sono costruite, se non sulla sabbia, su un castello di ipotesi che riguarda gli andamenti a venire di altre grandezze economiche, e prima fra tutte il denominatore di quel rapporto deficit/Pil che è l'obiettivo della politica di finanza pubblica. E qui soccorrono allora alcune osservazioni di base.

Primo, la spesa pubblica in Italia è elevata a causa degli interessi che dobbiamo pagare su un debito che viene dal passato. Ed è elevata anche perché dobbiamo pagare un monte-pensioni in essere che è pesante a causa degli impegni presi in passato. Possiamo e dobbiamo deprecare i comportamenti che nei decenni trascorsi hanno aggiunto quei pesi alle some di oggi, ma non possiamo scrollarci di dosso questi fardelli. Possiamo però fare un utile esercizio: se sgombriamo il campo dei numeri da questi due echi del tempo che fu, e guardiamo alla spesa pubblica residua ci accorgiamo di un semplice fatto: questa spesa non è affatto elevata e, nei confronti internazionali di analoghe grandezze, è anzi abbastanza bassa. C'è di più: è bassa anche in relazione al fatto che l'Italia è un Paese ad alto bisogno di spesa pubblica, per addensamento demografico, conformazione orografica, dissesto idrogeologico, inquinamento, conservazione di un immenso patrimonio artistico, dualismo territoriale, criminalità organizzata.

Questo non vuol dire che non vi siano aree di sprechi su cui bisogna intervenire con lucidità e spietatezza. Vuol dire semplicemente che i risparmi che possono venire dalla rimozione degli sprechi devono essere destinati a tanti bisogni pubblici che oggi non vengono adeguatamente soddisfatti (vedi per esempio, nel Sole 24 Ore di ieri, i dati sugli aiuti alle famiglie).

Come raggiungere allora, i giusti obiettivi disegnati dal Governo in tema di pareggio del bilancio? In queste cifre c'è sempre un "convitato di pietra": il Pil, il reddito prodotto in Italia sul quale si misura il peso del deficit e del debito. Sull'andamento del Pil vengono fatte ipotesi "ragionevoli", e questo procedere con juicio porta a ritenere che sarà possibile raggiungere quell'obiettivo solo con tagli alla spesa che non possono non incidere sulla carne viva del Paese.

La conclusione è una sola: non bisogna essere "ragionevoli". Bisogna puntare a una crescita "irragionevole", se è possibile applicare questa parola a un tasso di sviluppo che sia più alto del misero 1,5% di crescita potenziale che ci viene assegnato dai "ragionevoli" calcoli degli esperti.
Le ricette sono quelle di sempre - liberalizzazioni vere, semplificazioni, disincrostazioni - e verranno ancora riprese alla grande dalle proposte degli industriali alle Assise del 7 maggio. Insieme a una massiccia seconda ondata di privatizzazioni (a cominciare dal disboscamento del "socialismo municipale") la ripresa della crescita offre l'unica via d'uscita per un risanamento della finanza pubblica che non sia malanno per l'economia.

fabrizio@bigpond.net.au
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