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Questo articolo è stato pubblicato il 30 aprile 2011 alle ore 08:54.
L'ultima modifica è del 30 aprile 2011 alle ore 08:14.

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Si continua a ballare sull'orlo del vulcano. Ma in realtà nessuno vuole finire dentro il cratere, cioè in una crisi di governo aperta al buio sulla politica estera con una guerra alle porte di casa. Nemmeno i leghisti vogliono un simile esito e infatti adombrano spiacevoli conseguenze, ma si guardano bene dal compiere un atto definitivo.

Come sarebbe, ad esempio, presentare una mozione alla Camera simile a quella concepita dall'Italia dei Valori.
Certo, a prenderle alla lettera le parole di Bossi non lasciano margini. Quando si dice: «o cessano i voli degli aerei italiani o salta tutto», si pone un aut-aut che in apparenza non lascia margini di manovra. Per la buona ragione che i Tornado stanno già volando da tre giorni, elogiati dal comando Nato, e sembra davvero poco realistico pensare che il governo possa richiamarli indietro, a meno di non volersi coprire di ridicolo.
Quindi le parole del leader leghista vanno interpretate, senza sottovalutare la sua irritazione. Peraltro in politica le condizioni «impossibili» si pongono solo quando si è già deciso di rompere. E non sembra questo il caso. Guai però a perdere tempo. È necessario che prima di martedì, giorno in cui è convocata la Camera, si faccia chiarezza tra i due capi del centrodestra. Sarebbe consigliabile un incontro, ma è ovvio che dovrà essere preparato bene. E al momento, a quanto se ne sa, siamo in alto mare.

In ogni caso qualcuno dovrà riconoscere che sono stati commessi troppi errori in questi mesi. Il primo a doverlo fare dovrà essere il premier. Quando Berlusconi lascia trapelare una sorta di autocritica («ho sbagliato, sulla Libia dovevo avvertirlo»), fa un piccolo passo avanti, ma ancora insufficiente. Senza dubbio è stato un grave errore non aver informato il maggiore alleato che la linea decisa in Consiglio dei ministri (nessuna partecipazione dell'aviazione italiana ai bombardamenti) stava cambiando per la pressione della Nato. Ma c'è molto di più.
Ad esempio, è stata quantomeno una leggerezza aver alimentato in modo trasversale un crescendo di polemiche nei confronti del ministro dell'Economia, allo scopo di indebolirlo e in fondo di screditarlo come possibile, futuro candidato alla guida del governo. Al punto che giorni fa, come si ricorderà, Berlusconi indicò il ministro Alfano tra i suoi possibili e molto remoti successori, ma senza mai citare Tremonti. Quest'ultimo si è difeso con le unghie e anche con malizia. Chi se non lui poteva informare i leghisti che le missioni aeree in Libia costeranno 700 milioni di euro?

Comunque sia, tocca a Berlusconi capire che la guerra più o meno sotterranea contro il ministro dell'Economia, in un momento in cui l'immagine internazionale dell'Italia non è proprio allo zenit, è un atto autolesionistico. Peggio: è un'operazione a somma zero, visto che la Lega difende a spada tratta Tremonti. Quindi Berlusconi può al massimo ferire il suo supposto rivale. Ma ferire l'avversario senza abbatterlo è l'ipotesi più infausta, come spiegava Machiavelli.
A questo punto il problema è come si arriva a martedì, come si supera lo scoglio parlamentare, come si ridefinisce il rapporto Berlusconi-Bossi. Certo, non solo sulla Libia. Non si può e non si vuole rompere sulla politica estera. Ma il rischio è che, ballando sul bordo del cratere, si metta un piede in fallo. Ecco perché le prossime ore saranno decisive. Ne sono consapevoli tutti e in primo luogo il Quirinale che continua a essere il punto di riferimento di questa crisi.

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