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Questo articolo è stato pubblicato il 03 maggio 2011 alle ore 08:04.

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L'orgoglio ritrovato dell'America, ora la sfida sul debitoL'orgoglio ritrovato dell'America, ora la sfida sul debito

di Mario Platero.
Nel momento in cui sembrava più debole sul piano morale, più vulnerabile su quello economico, assediata dall'imminente sorpasso cinese, l'America ha ritrovato improvvisamente la forza per rialzare il capo. L'uccisione di Osama bin Laden, la straordinaria operazione militare, il discorso in una notte tiepida di Barack Obama, composto, denso di continuità storica, i ragazzi per strada, avvolti nelle bandiere americane sono stati gli ingredienti di una straordinaria ondata di ottimismo, di fiducia che sta elettrizzando il Paese. Poi c'è il versante del realismo: basterà questo successo per uscire dalle secche di un disavanzo pubblico gigantesco? Per eliminare un fabbisogno di debito di 4 miliardi di dollari al giorno? Per riaprire le porte dell'occupazione?

Se l'umore è già cambiato, se l'equazione geopolitica è già trasformata, la grande sfida di fondo per l'America resta. E la risposta dei mercati è stata chiara: i problemi economici strutturali americani non sono scomparsi con bin Laden nella profondità del mare. Le polemiche e la polarizzazione a Washington restano. La speculazione è di nuovo un pericolo. Obama lo sa benissimo. E quando nel suo discorso ha rievocato la grande capacità di reazione e la tenacia e l'unità della nazione americana, il presidente pensava già alla battaglia più difficile che lo attende, quella per un accordo sui tagli del disavanzo pubblico. Ora è su questo fronte che si gioca il futuro degli Stati Uniti e del mondo.

Per una ragione molto semplice. Se la Cina potrà anche pensare al sorpasso economico da qui a una quindicina d'anni, le reazioni mondiali all'operazione militare americana hanno confermato un messaggio chiarissimo: per il futuro prevedibile il crocevia obbligato per la ricerca di una leadership globale continuerà a passare per Washington. Per questo dobbiamo accogliere con entusiasmo questo cambiamento di umore americano, quella forza che abbiamo visto nei giovani. Annotiamolo, perché è importante, le loro erano bandiere di gioia, in contrapposizione alle quelle per la solidarietà, austere, che tutti abbiamo visto con commozione dopo l'attacco dell'11 settembre.

Le ramificazioni del post-bin Laden sono innumerevoli. Ci sarà un riavvicinamento fra Pakistan e Stati Uniti e quasi certamente un calo della tensione nel subcontinente indiano. I lavori preparatori per risolvere la questione del Kashmir sono in stato avanzato. Ci sarà maggior impeto dell'ottimismo democratico per il mondo arabo in agitazione. E sappiamo, lo confermano i testi di economia, quanto l'effervescenza del successo sia determinante per far scattare una psicologia positiva di cui l'America senza lavoro aveva disperato bisogno. C'è chi vede, già buttando il cuore oltre l'ostacolo, un recupero del "dividendo per la pace", conquistato dopo un'altra vittoria epocale, quella contro l'impero sovietico.

Ma in mezzo ci saranno le forche caudine dell'accordo sul disavanzo e del rilancio della solidità finanziaria americana. Ci sono due elementi che fanno sperare. Anche se non avrà un effetto a breve, l'atteggiamento psicologico positivo di un Paese è determinante per il successo di medio termine. Il secondo lo troviamo nella tenacia di Obama. Il successo dell'operazione giorno non si limita all'uccisione di bin Laden, ma alla dimostrazione di calma e pazienza di questo presidente con una grande qualità: quella di saper attendere. Pur sapendo dove fosse nascosto bin Laden, Obama ha atteso dei mesi prima di autorizzare un attacco eseguito alla perfezione, persino nella sepoltura del nemico. Saprà attendere, in patria, anche i repubblicani. Soprattutto ora, verificato quanto la pazienza possa portare a risultati che resteranno scolpiti nelle pagine di storia.

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