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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2011 alle ore 09:35.
L'ultima modifica è del 05 maggio 2011 alle ore 09:36.

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Da una parte all'altra dell'Atlantico, dalla conferenza della Fed della settimana scorsa a quella della Bce di oggi, l'attenzione è puntata sulle parole dei banchieri centrali, su quello che dicono e che non dicono, su quanto siano preoccupati per le fiammate dell'inflazione. La conferenza stampa della Fed - la prima nella storia - non è stata interessante come evento di per sé ma in quanto veicolo di iniziazione a un nuovo modo di fare politica monetaria. Una strategia di "inflation targeting". Altri Paesi l'hanno già adottata, come Australia, Nuova Zelanda, Norvegia e Svezia. Ora la teoria diventa pratica anche per gli Stati Uniti, teoria che proprio lo stesso Bernanke, Lars Svensson, ora fra i governatori della banca centrale svedese, e Michael Woodford hanno teorizzato a Princeton più di un decennio fa. Sono lezioni importanti per la Bce, in un momento in cui migliorare la propria comunicazione può realmente ancorare l'inflazione più di un qualsiasi rialzo impulsivo dei tassi d'interesse. Forse il primo compito nell'agenda del prossimo presidente dell'autorità europea.
L'inflation targeting è una strategia di politica monetaria che definisce degli obiettivi per la banca centrale. L'inflazione è uno di questi, ma non necessariamente il solo. Può anche includere altre variabili macroeconomiche come la crescita o la disoccupazione. Sull'inflazione, Bernanke ha finalmente svelato l'arcano mistero di quale numero seguire: il 2 per cento.

Ha anche spiegato di quale inflazione si tratta: quella basata sull'indice dei prezzi al consumo che include tutte le componenti, anche quelle dei prodotti energetici. Con una certa sorpresa, non è l'inflazione "core" l'obiettivo della Fed oggi. Anche la Bce segue simili obiettivi sempre al 2%. Ma una politica di inflation targeting non si esaurisce tutta qui. Consistentemente con il doppio mandato della Fed, c'è anche un target per la disoccupazione di lungo periodo fra il 5,2% e il 5,6%, definendo così quella disoccupazione di natura strutturale verso la quale la banca centrale è impotente. Con una disoccupazione oggi all'8,8%, i conti con la crisi non sono affatto chiusi. In effetti, il target sulla disoccupazione non viene neanche ripristinato nell'orizzonte delle previsioni fatte dalla Fed, fino al 2013. L'obiettivo sull'inflazione viene invece raggiunto in un anno. La differenza di trattamento rivela le preferenze del banchiere centrale, mostra in questo caso la sua discrezionalità nella strategia ma, allo stesso tempo, lo rende anche responsabile delle sue scelte. Bernanke è uscito dalla conferenza come più avverso all'inflazione di quanto ci si aspettasse, e la blogosfera in tempo reale gli si è rivoltata contro, da Krugman a De Long. Per la Bce, la crescita è un obiettivo secondario purché non si metta in pericolo la stabilità dei prezzi. Bisogna tuttavia chiarire prima o poi se, consistentemente con il mandato sull'inflazione, si possa fare meglio del 9,9% di disoccupazione in Europa, e se no perché.

Inflation targeting, quindi, non è solo definizione di obiettivi ma anche dei tempi in cui raggiungerli. L'esercizio si accompagna a una serie di previsioni sulle variabili rilevanti su diversi orizzonti. Si accompagna anche a una spiegazione del perché oggi l'economia non si trova allineata con gli obiettivi, cioè quali sono i fattori di disturbo che la colpiscono, come questi fattori si muovono nel tempo e quali passi la politica monetaria deve compiere. La comunicazione deve essere chiara. Per Bernanke il rialzo dell'inflazione dei prodotti petroliferi è temporaneo, quindi è ora inopportuno rialzare i tassi d'interesse. Perché la Bce li alza? In che orizzonte pensa di ritornare sull'obiettivo dell'inflazione al 2%? Non ci è dato modo di capirlo.

Tuttavia due elementi hanno offuscato la comunicazione della Fed. Il primo: Bernanke non ha mai parlato di questa nuova strategia di inflation targeting, ma in pratica l'ha introdotta. Avrebbe dovuto essere più esplicito per inaugurare appunto una nuova trasparenza. In secondo luogo, in un esercizio di previsione coerente, non si può mancare di comunicare il sentiero della politica monetaria futura, spiegare come i tassi d'interesse verranno mossi in coerenza con gli scenari di previsione presentati. Perché lasciare tutto ciò all'inferenza dei mercati, quando lo si può comunicare chiaramente? C'è in fondo ancora tanta paura nei banchieri centrali, anche se vengono dalla teoria, a mostrare tutte le carte in tavola. Trichet usa spesso un linguaggio improprio e fuorviante dicendo che la Bce non prende impegni. Invece, è proprio l'impegno il fattore di maggior successo per una politica seria di inflation targeting. L'impegno a seguire una determinata azione sotto specifiche condizioni, non sotto tutte le condizioni. Se comunico al mercato che alzerò i tassi fra tre mesi sotto la condizione che il prezzo del petrolio continuerà a salire, prendo un impegno ma non lo rinnego se un domani non alzerò i tassi perché il prezzo del petrolio è rimasto invece stabile. L'inflation targeting permette tutto ciò: di comunicare in maniera chiara gli scenari e condizionare gli impegni alla valutazione appropriata delle informazioni correnti e di modificarli e spiegarli di conseguenza. Tutto ciò di cui avremmo bisogno per non lasciare troppo al caso questa politica monetaria europea, in un'Europa che diverge a più velocità.

pbenigno@luiss.it

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