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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2011 alle ore 09:02.
L'ultima modifica è del 06 maggio 2011 alle ore 09:03.

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In concomitanza con le Assise di Confindustria c'è ancora chi, nel nostro Paese come all'estero, si chiede se l'industria possa continuare ad avere davvero un ruolo preminente nella cosiddetta società post-industriale o se non siano invece i servizi il futuro delle economie moderne. È un falso problema. Infatti, ogni economia ha le sue caratteristiche. Ci sono Paesi avanzati che hanno puntato quasi tutto sui servizi, in particolare quelli finanziari, come la Gran Bretagna, e altri che invece hanno conservato una forte industria manifatturiera, come la Germania o l'Italia. Altri ancora, come la Cina, proprio perché sono diventati la "fabbrica del mondo" hanno potuto diventare anche il "creditore del mondo", grazie ai surplus accumulati con le attività manifatturiere. Non esiste dunque un unico modello vincente.
Inoltre, avere una forte industria non significa necessariamente non possedere anche una forte presenza nei servizi. Molti servizi, infatti, sono in buona parte funzionali all'industria (trasporti, logistica, banche, assicurazioni) e il valore creato dall'industria crea a sua volta un benessere diffuso nella società, che genera ulteriore spazio di sviluppo per i servizi stessi (si pensi al commercio o al turismo). La stessa quota di valore aggiunto dell'industria nel Pil, benché in calo tendenziale in tutte le economie più mature, sottostima enormemente l'importanza dell'industria.

Essa infatti rivela solo il contributo diretto delle attività industriali alla formazione del reddito e non tutte le attività indotte che esse mettono in moto.
Per un Paese come l'Italia la centralità dell'industria nell'economia è un dato inconfutabile. E dove in Italia c'è più industria c'è anche più reddito, ricchezza, consumi, benessere. Si può meglio comprendere questa realtà considerando lo spaccato del nostro Paese per macroregioni. Se consideriamo gli ultimi dati Eurostat sul valore aggiunto disaggregato territorialmente, relativi al 2007 (si veda la tabella qui a fianco), possiamo osservare che nell'industria escluse le costruzioni la macroregione più importante dell'Ue a 27 è il Nord-Reno-Wesfalia (125 miliardi di euro), seguita dal Nord-Ovest Italia, che a sua volta precede il Baden-Württemberg e la Baviera. Queste quattro macroregioni esprimono tutte singolarmente un valore aggiunto industriale superiore a quello di un importante Paese Ue come l'Olanda (97 miliardi). E al quinto posto troviamo il Nord-Est Italia, che è più importante della Svezia, mentre il Centro Italia è settimo, subito dopo l'Este spagnolo (con Catalogna, Valencia e Isole Baleari) e davanti all'Ile de France. Anche il Mezzogiorno, pur con i suoi ritardi e vincoli, ha un'industria di rilievo, più grande di quella della Finlandia o dell'Irlanda, ed è la decima macroregione industriale Ue. Con ciò si dimostra, anche a livello territoriale, l'assoluta supremazia tedesco-italiana nel manifatturiero.

La Germania, chiaramente, è una potenza industriale gigantesca e ineguagliabile, con i suoi grandi gruppi che hanno saputo col tempo diventare sempre più grandi. Ma pure l'Italia, con il miracolo delle sue piccole e medie imprese che ha compensato il declino storico della nostra grande industria, gioca la sua partita. Come si evince anche dal fatto che il valore aggiunto industriale della sola Lombardia (83 miliardi) è più importante di quello di Paesi come Svezia, Polonia, Austria, Belgio. Mentre il Veneto è più importante della Repubblica Ceca e l'Emilia-Romagna (34 miliardi) più della Romania.
Questi numeri devono indurre gli industriali italiani a fare ancora di più per il loro Paese perché hanno l'orgoglio, i mezzi e le possibilità per riuscirci, soprattutto nella direzione dell'innovazione e dell'internazionalizzazione. Ma devono anche spingere chi ci governa a interrogarsi su quanto l'Italia potrebbe essere ancora più forte se la sua industria fosse messa nelle condizioni di lavorare meglio a livello di burocrazia, infrastrutture, energia, fiscalità, servizi pubblici. Non soltanto perché l'industria è importante in se stessa ma perché essa nel nostro Paese è anche uno straordinario moltiplicatore di altre attività.

Lo dimostra, ancora una volta, l'analisi territoriale. Infatti, è bensì vero che i valori aggiunti nel settore finanza e immobiliare di alcune aree europee vocate, come l'Ile de France (215 miliardi di euro) o Londra (181 miliardi), sono superiori a quelli generati dall'industria nelle aree più specializzate della Germania e dell'Italia. Il che sembrerebbe dare ragione a chi afferma che i servizi ormai sono più importanti dell'industria e creano un valore aggiunto maggiore. Questa argomentazione però non considera che nelle regioni più industrializzate non c'è soltanto la manifattura ma esistono anche importanti settori dei servizi. Sicché è interessante notare che il Nord-Ovest Italia è anche la quarta macroregione europea per valore aggiunto nella finanza e nell'immobiliare (129 miliardi di euro), dopo Ile de France, Londra e Baden-Württemberg. Inoltre, sempre in questo settore, il Centro Italia (89 miliardi) è la settima macroregione, preceduta di poco da Baviera e South East britannico, mentre il Nord-Est Italia è ottavo (81 miliardi) allo stesso livello del Baden-Württemberg.

A ciò si aggiunge il fatto che il Nord-Ovest Italia è la prima macroregione europea nel commercio, trasporti, turismo (99 miliardi) davanti a Ile de France, Nord-Reno-Westfalia, Este spagnolo e Londra. Si noti poi che in questo settore, immediatamente dopo, seguono al sesto posto il Centro Italia e al settimo il nostro Nord-Est. Dunque fare industria non significa non saper fare anche servizi, anzi le due cose coesistono benissimo nelle aree più evolute dell'Italia e della Germania.

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