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Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2011 alle ore 15:05.
L'ultima modifica è del 08 maggio 2011 alle ore 15:06.

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Il presidente dell'Associazione degli Industriali, Emma Marcegaglia, durante il suo intervento all'Assise di Bergamo (Ansa Renato franceschin)Il presidente dell'Associazione degli Industriali, Emma Marcegaglia, durante il suo intervento all'Assise di Bergamo (Ansa Renato franceschin)

L'Italia è un Paese libero e eccezionale. In ogni senso. Ieri ne abbiamo avuto una prova folgorante: mentre a Bergamo seimila imprenditori discutevano del (loro) futuro possibile, del Paese e della stessa Confindustria, maggioranza e opposizione duellavano sull'estetica dei candidati alle prossime elezioni comunali.

È certo un caso, come è un caso che le Assise di Bergamo si siano svolte a tre anni dall'entrata in carica del quarto governo Berlusconi, un arco di tempo sufficientemente ampio per trarne un primo bilancio. Ma dà la misura di quanto il Paese – al suo interno, addirittura nel confronto dialettico tra le sue classi dirigenti – fatichi a sintonizzarsi sul tema della crescita, quasi fosse una questione astratta o, peggio, una coperta da tirare a destra o sinistra in vista del solito appuntamento elettorale.

Sia chiaro. Le migliaia di imprenditori grandi, medi e piccoli che hanno raccolto l'invito della presidente Emma Marcegaglia per una giornata di ascolto e di confronto tutta interna al mondo dell'impresa, non sono portatori politici di un modello di società e non pretendono di sostituirsi alla politica, alla quale chiedono regole trasparenti, comportamenti adeguati e una più rigorosa selezione dei rappresentanti dei cittadini.

Gli imprenditori cercano di fare, questo sì, il loro mestiere sui mercati di tutto il pianeta, dove la competizione non ammette pause di riflessione o tentennamenti. Si confrontano con le incertezze economiche, finanziarie e geo-strategiche. Assieme ai loro lavoratori portano l'Italia nel mondo, e lo fanno con successo, se è vero che questo Paese resta la quinta potenza industriale del globo.

Sono centinaia i prodotti di eccellenza made in Italy, frutti in gran parte di un originale ed irripetibile modello di capitalismo familiare, che detengono la leadership nel mondo.

Gli imprenditori possono fare di più ed essere d'esempio, a cominciare dagli investimenti nelle loro imprese, spesso poco capitalizzate, fragili sotto il profilo finanziario, dipendenti dal credito bancario e coinvolte in difficili passaggi generazionali? Vogliono combattere i rischi del nanismo e della frammentazione del sistema che finiscono per limitare i guadagni di produttività? Sono disposti a battere la strada di nuove relazioni industriali? Se la sentono di scommettere, loro per primi, su una crescita vera, non da zero o da uno-virgola qualcosa, e sulla svolta necessaria per riacciuffarla?

Su tutto questo a Bergamo ci si è confrontati (più di 300 interventi) con passione e franchezza, in un dibattito libero da pregiudiziali e tatticismi. La stessa azione di Confindustria è stata oggetto di un vaglio puntiglioso, aperto tanto all'approvazione quanto alle osservazioni critiche. Per quello che con una troppo facile etichetta viene spesso dipinto come un "santuario dei poteri forti" è stata insomma una prova di democrazia vera, suggellata da una votazione finale via sms sull'agenda delle priorità da proporre al Paese.

Il risultato, anche al di là del naturale rafforzamento identitario, è oggettivamente importante e consente ad Emma Marcegaglia di entrare nel suo ultimo anno di mandato alla guida di Confindustria all'insegna di un'accelerazione. Confindustria è pronta a "cambiare pelle", non chiede né sussidi né aiuti ma si aspetta uno Stato dimagrito che funzioni meglio e a costi minori. Insiste sulla strada delle nuove relazioni industriali disegnate nel 2009 per contratti derogabili e flessibili e vuole essere protagonista della svolta per la crescita.

La nuova assunzione di responsabilità è forse il tratto politico più forte e nuovo che esce da queste Assisi di Bergamo. Responsabilità all'interno del sistema industriale: piccolo e locale non funziona più, dunque più reti d'impresa per accrescere le dimensioni e l'internazionalizzazione delle imprese; sulla scia di quanto già fatto al Sud, impegno anche al Nord contro ogni forma di criminalità organizzata. E all'esterno del sistema: Confindustria punta ad esempio ad entrare in campo direttamente, come nel caso di un'auspicata privatizzazione dell'Istituto per il Commercio Estero (Ice). Il sistema di promozione delle nostre imprese all'estero non funziona ed è troppo frammentato, come è noto da tempo. Negli ultimi tre anni i fondi sono stati tagliati e ammontano oggi a soli 33 milioni, rispetto ai 105 della Francia e ai 252 della Germania. Che senso ha continuare su questa strada?

Alla politica Confindustria chiede – e non è certo una novità - le riforme. Quelle possibili, senza scardinare i conti dello Stato: liberalizzazioni, semplificazioni, fisco (anche a parità di pressione fiscale), impegno nel sostegno alla ricerca. Il decreto approvato dal Governo nei giorni scorsi va nella giusta direzione, ma per la crescita è tempo di una svolta vera. Noi già ci siamo ma siamo pronti a fare di più, dicono gli imprenditori. Da Bergamo, un messaggio forte.
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