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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2011 alle ore 09:00.
L'ultima modifica è del 11 maggio 2011 alle ore 08:45.

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Il rapporto sull'occupazione americana di venerdì scorso ci dice che in aprile si sono creati 244mila posti di lavoro. Sono tanti o sono pochi? Sono più di quanti si aspettavano molti analisti, ma meno di quanti sarebbero necessari per riportare il mercato del lavoro in attivo. Tuttavia è difficile trarre conclusioni precise basandosi solo sui dati dell'ultimo mese. È utile - allora - porre le cose in prospettiva, facendo un passo indietro e guardando a come l'economia americana nel suo complesso è cambiata nell'ultimo anno.

Ci sono luci e ombre: cominciamo con le ombre. Il dato più preoccupante è che, nonostante la produzione abbia ripreso e la Borsa si sia rafforzata notevolmente negli ultimi mesi, finora l'occupazione sta crescendo più lentamente di quanto ci si aspetterebbe esaminando le recessioni precedenti. Oggi negli Usa ci sono quasi 7 milioni di posti di lavoro in meno rispetto al dicembre 2007, quando è cominciata la recessione. È una cifra enorme. Se l'occupazione continuasse a crescere con il ritmo dell'ultimo anno, ci vorrebbero due anni e mezzo per tornare ai livelli di fine 2007.

In questo scenario, sia la crescita interna che quella globale rimarrebbero deboli per anni, rallentate dalla debolezza della domanda e dall'incertezza che sempre pesa sui consumatori quando i posti di lavoro sono scarsi. Poiché nel frattempo la popolazione americana ha continuato a crescere, sarebbe necessario un periodo ancora più lungo per tornare a livelli occupazionali pro capite accettabili. Molti analisti ritengono che questo sia uno scenario possibile.

Personalmente sono più ottimista, per ragioni sia congiunturali che strutturali. Anzitutto, il tasso di crescita dell'occupazione, per quanto ancora basso, sta accelerando. Quello di aprile è stato il più rapido degli ultimi cinque anni, nonostante il fatto che la produzione industriale abbia risentito dei problemi connessi con il terremoto in Giappone.

Ancora più importante è la composizione settoriale della crescita. Nell'ultimo anno la crescita dell'occupazione americana è stata trainata da due motori: l'industria manifatturiera e il settore dell'innovazione. L'accelerazione del primo motore è probabilmente passeggera: durante la recessione l'occupazione industriale era crollata in misura tanto grande che una ripresa era pressoché inevitabile. I giornali americani sono pieni di articoli in cui si parla della rinascita dell'industria americana. Personalmente, non credo che durerà a lungo. Il dollaro debole sta chiaramente aiutando, ma l'occupazione industriale americana è in calo da 30 anni e non vedo ragioni per cui il trend s'inverta.

La ripresa del settore dell'innovazione è invece il principale motivo di ottimismo. I posti di lavoro nel settore del software, Internet, semiconduttori, ricerca medica e farmacologica (in particolare biotecnologica), sono in crescita costante da vari anni e hanno nettamente ripreso forza dopo una breve pausa dovuta alla recessione. A questi settori tradizionali dell'hi-tech si sono aggiunti settori nuovi come il clean-tech (tecnologie per l'ambiente), digital entertainement e i nuovi materiali (per esempio il nano-tech).

Gli investimenti in R&D, e di conseguenza i posti di lavoro, stanno esplodendo nei vari "innovation hubs" sparsi per l'America, soprattutto in quello principale: Silicon Valley. L'occupazione nella "valle" sta crescendo così rapidamente che le imprese cominciano ad avere difficoltà a trovare lavoratori. Facebook e Twitter - di cui molti si aspettano una prossima quotazione in borsa - stanno assumendo a ritmi senza precedenti. Google, che aveva già tra i salari più alti del settore, li ha dovuti alzare di un ulteriore 10% per evitare che i suoi dipendenti cercassero altri posti di lavoro meglio remunerati. Il chief economist di Intel - world leader nei semiconduttori - mi diceva la settimana scorsa che si aspetta nei prossimi mesi e anni un'accelerazione della domanda trainata dalle esportazioni verso i Paesi emergenti. Gli occupati stanno aumentando velocemente anche nei settori della ricerca biotecnologica e della tecnologia verde. A differenza degli anni passati, l'outsourcing verso India e Cina rimane contenuto.

A San Francisco, dove vivo, il boom dell'hi-tech è tangibile. Tradizionalmente il centro della città è diviso in due: la parte a Nord è da sempre occupata dalle grandi istituzioni finanziarie, dagli studi legali nazionali ed internazionali, dai grossi studi di architettura e da altri servizi professionali. La parte a Sud è da quindici anni occupata dalle start-up nel settore software, Internet, digital entertainement e, da qualche anno, da laboratori biotecnologici. Ora gli uffici nella parte a Nord hanno ancora piani vuoti e i prezzi sono in discesa. Gli uffici nella parte Sud sono quasi al completo e i prezzi in netta salita. Perché è così importante capire la composizione settoriale della crescita? La ragione principale è che creare un posto di lavoro nell'industria manifatturiera non ha la stessa importanza che creare un posto di lavoro nell'high-tech. Ogni settore ha un moltiplicatore diverso sull'economia e il settore dell'innovazione ha il moltiplicatore più alto di tutti. Un mio studio dimostra che la creazione di un posto di lavoro nell'industria manifatturiera genera 1,6 posti di lavoro nell'indotto nel settore dei servizi, mentre un nuovo posto di lavoro nell'hi-tech ne genera cinque nell'indotto. Ciò significa che nei prossimi mesi ci possiamo aspettare un'accelerazione dell'occupazione dovuta all'effetto moltiplicatore generato dalla crescita del settore hi-tech.

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