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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2011 alle ore 18:39.

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Andrea Agnelli (Ansa)Andrea Agnelli (Ansa)

La Juventus sta valutando una possibile uscita dalla Lega Calcio. «Dobbiamo valutare tutto, dobbiamo valutare anche questo», ha detto il presidente del club bianconero Andrea Agnelli a margine dell'inaugurazione della mostra per il nuovo stadio tenuta Torino. Il presidente della Juve ha aggiunto: «Potremmo anche valutare di portare le cinque squadre principali a giocare un'altra Lega. Abbiamo le cinque squadre che investono di più nel sistema calcio e che rappresentano il 75% dei tifosi che si trovano in maniera precostituita sempre a subire sempre le conseguenze degli altri. Viviamo un momento di estrema difficoltà, dove le società che non investono decidono del futuro del calcio italiano».

L'oggetto del contendere sono i bacini di utenza per definire i diritti televisivi, una torta da 200 milioni. Grandi squadre contro piccole e medie di serie A. Oggi a Milano il Consiglio di Lega della massima divisione si è schierato con le piccole contro le big five. Con il voto decisivo del presidente Maurizio Beretta, il Consiglio ha dato infatti attuazione alla delibera dell'assemblea per l'assegnazione a tre agenzie demoscopiche delle indagini per definire i bacini, dopo che ieri invece l'Alta Corte di Giustizia del Coni aveva accolto il ricorso delle cinque grandi contro la delibera del 15 aprile scorso dell'Assemblea di Lega.

Oggi, infatti, hanno votato contro l'attuazione della delibera i rappresentanti di Milan, Inter, Roma, Napoli e Juventus. A favore quelli di Parma, Sampdoria, Udinese, Palermo e Catania, oltre appunto al presidente della Lega di serie A. «Un appello accorato alle componenti affinché si possa trovare una soluzione parzialmente soddisfacente per tutti». Questo l'invito rivolto da Beretta alle Società al termine del Consiglio di Lega.

«A differenza dell'ultimo Consiglio, quando era pendente il ricorso alla Corte di Giustizia federale, oggi, di fatto, la delibera dell'Assemblea - ha spiegato Beretta - diventa attuativa essendo stata assunta da una maggioranza qualificata. In mancanza di soluzioni diverse appoggiate da tutti era difficile oggi non dare avvio al processo di attuazione, comunque ritengo ci siano tutti i tempi e tutte le condizioni prima di avviare le ricerche per trovare un'intesa condivisa sui criteri di questo meccanismo».

Di tutt'altro avviso l'amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani. «Il prossimo round - ha detto - sarà in assemblea lunedì, e poi in tribunale. Beretta se ne assumerà le responsabilità anche patrimoniali». Beretta poco più di due anni fa era stato scelto dalle grandi, Juventus in testa, per guidare la nuova Lega di serie A dopo la scissione dalla B. Un investimento generalmente condiviso dai club, che in lui vedevano finalmente il manager esterno al servizio del calcio. Ora Beretta ha mandato su tutte le furie proprio le cinque grandi squadre, schierandosi con le altre 15 perchè, assicura, «era un atto dovuto».

Il voto di Beretta ha rotto l'equilibrio che in Consiglio durava dalla riunione del venerdì santo, quando si era astenuto. Inter e Milan, per bocca di Paolillo e Galliani, lo hanno accusato di incoerenza, sottolineando quanto fosse inopportuno prendere posizione per un presidente che da marzo ha accettato l'incarico di responsabile della comunicazione esterna e interna di Unicredit in Italia e all'estero. Da quel giorno Beretta, 56 anni, già direttore del Tg1, manager in Fiat e Confindustria, si è offerto di mantenere il doppio incarico in attesa che i club scegliessero il suo successore. Ma in Lega, accusa Galliani, non c'è mai.

«Certo questa non è una fase facile che dà soddisfazione - la risposta di Beretta -. Peraltro io avevo chiesto di essere avvicendato ormai quasi due mesi fa. Resto qui per non pregiudicare completamente l'operatività della Lega e mi auguro si trovi presto un accordo per un nuovo presidente che possa magari fare da pacificatore».

Negli ultimi mesi, più che ai possibili successori, i presidenti hanno pensato a risolvere la grana della spartizione delle risorse, e quindi anche alla definizione dei bacini d'utenza. Fino alla spaccatura fra piccole e grandi in assemblea. Il 22 aprile, nel Consiglio che avrebbe dovuto dare applicazione alla delibera (sulla scelta delle società demoscopiche) passata a maggioranza in assemblea, Beretta si è astenuto sancendo la parità di 5 voti a 5.

Nel frattempo è sopravvenuta la decisione della Corte di giustizia federale, e oggi il presidente ha alzato la mano con le cinque medio piccole. «L'unica condizione vincolante era dare attuazione alla delibera - si difende Beretta -. Non ho preso le parti degli uni o degli altri, ho fatto fino all'ultimo ogni tentativo per fare una composizione che vedesse il Consiglio di Lega unito nell'attuazione della delibera».

Beretta assicura anche di «aver proposto di vincolare la conclusione dei contratti a un periodo di trattativa tra le componenti per arrivare a una soluzione condivisa». Prossimo appuntamento lunedì in Lega, ma, come si sa, Galliani ha già prospettato un epilogo in tribunale dove «Beretta ne risponderà patrimonialmente».

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