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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2011 alle ore 08:10.
I consensi da ogni parte d'Europa che hanno portato in dirittura d'arrivo la candidatura di Mario Draghi a presidente della Banca centrale europea alimentano editoriali ricolmi di orgoglio italiano. Condivido l'orgoglio, ma devo anche dire che un po' mi mette a disagio. Ammettiamolo, è un sentimento più da Paese piccolo che grande, da tifoseria abituata a vedere lo scudetto sul petto di altre squadre, che gioisce come non mai la volta che tocca alla sua. Ma l'Italia non è uno dei Paesi fondatori, uno dei quattro grandi dell'Unione Europea?
Si lo è, e tuttavia la nostra reazione a questa vicenda risponde perfettamente al modo in cui abbiamo sempre vissuto - e sempre è stato percepito dagli altri- il nostro ruolo europeo.
Per ragioni storiche e perché raramente i nostri politici e i nostri funzionari hanno saputo immergersi ed integrarsi come altri nella vita comune europea, il nostro peso non è un a priori, è quello che sappiamo darci con le iniziative di cui ci rendiamo protagonisti e la qualità delle persone con cui ci facciamo avanti. Insomma una proposta, o una candidatura, francese o tedesca pesa in primo luogo perché è francese o tedesca. Una proposta o una candidatura italiana pesa soltanto per la sostanza che esprime.
Di qui tanto la legittimità del nostro orgoglio, quanto la sua matrice da Paese, ahimè, di secondo rango. Certo si è che questa volta la qualità del candidato sta pesando di più delle provenienze nazionali. Difficilmente la Germania avrebbe ceduto il passo, se avesse avuto un concorrente all'altezza del nostro. Sarà comunque positivo, non solo per noi ma per l'Europa, se la vicenda si concluderà diversamente dalle altre, nelle quali ha prevalso più chi faceva il nome, che non il merito del nominato. Detto questo, lascio alla cancelliera Merkel di dipingere Draghi agli elettori tedeschi come un prussiano con passaporto italiano. Lo faccia pure, se le serve. Ma risponde semplicemente a una immagine sbagliata dell'Italia l'idea che Draghi non abbia caratteristiche italiane, perché è attento alla stabilità, perché è severo col debito pubblico e perché ha una formidabile preparazione economico-finanziaria.
So che di quell'immagine non sono responsabili soltanto i tassisti tedeschi che la echeggiano, ma per primi i tanti, i troppi opinion makers italiani che, specializzati nel parlar male del proprio Paese, gli negano anche la soddisfazione di essere orgoglioso di ciò per cui ha ragione di esserlo.
Mario Draghi è uno dei non pochi italiani che, avendo tempra e talento, è riuscito a farli valere non solo all'estero, ma anche in patria. E che in patria ha partecipato a vicende importanti, contribuendo a impostarle e assumendone la sua quota di responsabilità.