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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2011 alle ore 11:58.
Casa Juve a Torino è satura di gas, basta una fiamma ed esplode un incendio che farà storia. Dopo l'ultimo ko rimediato contro il Chievo, l'ennesimo di una stagione che ha provocato diversi malesseri ai tifosi bianconeri in cerca di liete novelle dopo il mezzo disastro dello scorso anno, il presidente Andrea Agnelli ha rotto gli argini e ha fatto capire senza mezzi termini che così proprio non va.
Che sarebbe stato un campionato difficile per via della ricostruzione inaugurata dal nuovo direttore sportivo Beppe Marotta era cosa nota. Attesa, quasi prevedibile. Bisognava rimettere in piedi una squadra che pareva allo sbando, priva di identità, di gioco, di numeri. Insomma, l'impresa non era facile. Tuttavia, e su questo punto Agnelli è stato sufficientemente chiaro, si poteva fare meglio. Anzi, si doveva fare meglio.
«Una serie di giocatori che sono arrivati non hanno capito cos'è la Juventus e la cosa che più mi ha deluso ed infastidito è che i giocatori che avevamo lo hanno dimenticato», ha detto lasciando la sede della Lega di Serie A al termine dell'assemblea di ieri. Tutti bocciati, quindi. E probabilmente pronti a cambiare aria a fine stagione. Perché una sfuriata simile da parte del presidente non si era mai sentita. C'è da capirlo: è arrivato tra gli applausi dei tifosi un anno fa, erede di una famiglia che ha fatto grande la Juventus in Italia e nel mondo; oggi viene additato tra i principali responsabili del nuovo tracollo.
Si dice che il rendimento di una squadra spesso passi dallo stato di salute della società che la controlla. Come dire, se la nave affonda è colpa del capitano, non dei marinai. Ed è stato Agnelli a firmare per l'ingresso in casa Juve di Marotta e Paratici. Che a loro volta hanno deciso di investire i denari messi a disposizione per il mercato bianconero su giocatori che hanno fatto meno, molto meno di quanto si attendesse da loro. Qualche esempio? Motta, Martinez, Rinaudo, Traorè, Bonucci.
Mister Del Neri si è detto soddisfatto del proprio lavoro. «Rifarei tutte le scelte che ho fatto», ha risposto qualche giorno fa a chi gli chiedeva conto di una stagione che proprio brillante non è stata. Dimissioni? Manco a parlarne. Lui rimane, vuole rimanere. Il contratto copre anche il prossimo campionato. E se i tifosi chiedono la sua testa ormai da tempo - perché va bene che in campo non ci va lui ma il carattere, quello sì, è compito del tecnico girarlo a chi di dovere – i giocatori prendono le sue difese. Fatto strano, quasi insolito in questi casi.
Meglio lasciare la patata bollente a un altro e scaricare le responsabilità prima che sia troppo tardi, dice il manuale del calciatore che teme di venire coinvolto nella contestazione. Invece, no, lo spogliatoio della Juventus fa quadrato intorno all'allenatore friulano. Che ringrazia e porta a casa. In attesa che la società gli comunichi che ha deciso di cambiare rotta e guardi altrove. Era dai tempi di Gigi Maifredi che i bianconeri non rimanevano fuori dall'Europa. La storia si ripete. Da Gigi Maifredi a Gigi Del Neri.
Arrivare a Mazzarri è sempre più complicato. La piazza di Napoli lo adora, c'è di mezzo la qualificazione alla Champions che chissà quando ricapita e poi, particolare non di poco conto, De Laurentiis ha detto che farà il possibile per trattenerlo. Su Villas Boas, tecnico del Porto dei miracoli post Mourinho, ci sono tante voci e poche prove. Potrebbe rivedere il suo futuro dopo la finale di Europa League di domani sera. È giovane, ma ha dimostrato di avere quella determinazione che a Torino manca da tempo. La clausola di rescissione del contratto che lo lega al club lusitano parla di 15 milioni di euro. Per carità, la Juve della ricapitalizzazione potrebbe questo e altro.
Ma le cose potrebbero andare per le lunghe e Agnelli vuole risolvere il nodo panchina a stretto giro di posta. Per programmare il futuro come si deve. Perché sbagliare non è più possibile. E allora, ecco che dall'urna esce il nome di un grande ex, Antonio Conte, l'uomo giusto per la curva. Il Siena lo ha liberato. «Vuole realizzare il sogno di allenare la Juventus, spero che lo possa fare, oggi o in futuro», hanno detto dalla Toscana. Lui si scopre. «Se volete, io ci sono, chiamatemi». Agnelli si fa dare il suo numero. La chiamata arriverà.
Detto che a fare le previsioni per il domani che verrà si corre il rischio di prendere cantonate che passano alla storia, pare ormai certo che la Juve e Antonio Conte abbiano deciso di sedersi attorno a un tavolo per capire i se e i come dell'operazione. Sempre che questo incontro già non ci sia stato qualche tempo fa. Si può dire che a oggi sia il tecnico che raccoglie più consensi tra i vertici bianconeri. Ha dalla sua una lunga e gloriosa militanza con la maglia della squadra. Sa come vanno le cose a Torino, conosce l'ambiente e ha idea di come tenere testa alle tensioni della città. Ha la grinta che in molti dicono manchi a Del Neri.
E piace tantissimo ai tifosi, che lo adorano e per lui sarebbero disposti a chiudere ad un occhio davanti alle prime difficoltà. Con lui, non cambierebbe nemmeno il modulo. Conte gioca spesso con il 4-4-2, che si trasforma in 4-2-4 quando inizia la fase offensiva. Vero, arriva da due promozioni dalla B alla A, non dalla Champions League. E nell'unica esperienza nel massimo campionato alla guida dell'Atalanta non ha fatto benissimo. Ma anche Guardiola non aveva raccolto trofei da allenatore prima di sedere sulla panchina del Barcellona.
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